giovedì 19 dicembre 2013

Eau de toi...

Il mondo che ci circonda è qualcosa di straordinario. Colori vivaci che fanno brillare gli occhi, suoni e melodie naturali che sembrano provenire direttamente da un qualche paradiso, la sensazione di robusta durezza di un tronco di albero, la freschezza e la dolcezza di un frutto.
Siamo noi la misura delle cose, tutto è fatto per noi. Ma c’è una sensazione, un senso, un modo di comunicare con il mondo esterno del quale proprio non possiamo fare a meno.
Non ci credete? Bene. Seduti immobili, bocca chiusa, occhi chiusi e mani ben ferme nel tappare le orecchie.

domenica 15 dicembre 2013

Una capra che suona il violino


“Notting Hill, il mio angolo di Londra preferito. C'è il mercato, dove nei giorni feriali si vende ogni genere di frutta e verdura noto all'uomo. La bottega del tatuaggio, con fuori un tizio che si è ubriacato e ora non ricorda perché si è fatto incidere "Sono pazzo di Ken". I parrucchieri radicali, dove tutti quelli che escano sembrano una delle Spice Girl versione i capelli sono miei e me li gestisco io. E poi all'improvviso è il fine settimana, dall'alba centinaia di bancarelle sbucano fuori dal nulla, affollando Portobello Road fino a Notting Hill Gate e dovunque guardi migliaia persone comprano milioni di oggetti di antiquariato, alcuni autentici, altri... non proprio autentici.”

Inizia così la commedia romantica del 1999, Notting Hill, interpretata da Julia Roberts e Hugh Grant.

venerdì 13 dicembre 2013

L'amore al tempo delle emoticon

Tutti, ma proprio tutti, sanno cosa sono gli smiley, o le emoticon. Sono le famose “faccine”, l’unico modo che hanno i giovani d’oggi per usare la punteggiatura in modo pseudo-corretto, e per corretto intendo al fine di generare qualcosa di senso compiuto.
È ormai un qualcosa entrato nel quotidiano, la faccina triste con il punto e virgola e la parentesi, il bacino con l’asterisco sono diventati veri e propri sostituti dell’alfabeto. Espressivi, istantanei, di interpretazione facile se rimaniamo nel girone dei famosi, di quelli che almeno hanno una simbologia riconoscibile per gli occhi. Un compendio di sentimento, il Bignami dell’umano feeling, lo stato d’animo nella sua essenza più sintetica…
Ed ecco che “minore di tre” diventa un cuore, ecco che l’apostrofo che faceva piangere le maestre quando compariva sul “qual è” diventa una lacrima per colpa di un destino già scritto, una parentesi può sorridere o rattristarci peggio di una espressione matematica… Ma può, può un bacio racchiudersi tutto in un asterisco?

giovedì 5 dicembre 2013

Credi a Babbo Natale?

"Com'è difficile capire nel quadro qual è il momento esatto in cui l'imitazione della natura deve fermarsi. Un quadro non è un processo verbale. Quando si tratta di un paesaggio, io amo quei quadri che mi fanno venir voglia di entrarci dentro per andarci a spasso"

Qualche settimana fa sono stato alla mostra temporanea allestita a Torino su Pierre Auguste Renoir. All'ingresso di ogni stanza, o nei corridoi di collegamento tra una stanza e l'altra, vi erano frasi come quella di apertura di questo post.
Avevo avuto la fortuna di poter ammirare i meravigliosi capolavori di Renoir qualche mese prima, visitando la mostra permanente sull'Impressionismo all'interno del Museo D'Orsay a Parigi, quindi questa volta sono stato molto più colpito da queste "perle" sparse qua e là, per non parlare poi di alcune gigantografie in bianco e nero ritraenti il pittore in pose molto semplici, ma così magnetiche da spingermi a soffermarmi maggiormente nella loro visione che in quella dei quadri.
In certi frangenti ho davvero messo le radici, intento com'ero a leggere e contemplare queste frasi e, ogni tanto, ero costretto a tirare fuori lo smartphone per appuntarle, attirando l'attenzione dei dipendenti del museo che pensavano stessi per scattare una foto, oppure delle altre persone che avranno al solito commentato: "Questo viene a vedere Renoir e poi si mette a giocare con lo smartpone".

mercoledì 4 dicembre 2013

Metti una sera a cena...a lume di smartphone!

"Metti una sera a cena", un'opera teatrale di qualche tempo fa tradotta, come spesso accade, anche nella versione cinematografica, e diventato praticamente un motto di quello che potrebbe succedere partendo da qualcosa di semplice come una cena (anche se nel film discorsi morbosi e amori dello stesso genere si susseguono!).
Beh, questo una volta... 
Al giorno d'oggi, nell'era delle torce, chi compra più le candele? E al giorno d'oggi, quando lo svita-avvita di un vano batterie fischia ancora come una volta, quando due manate ben assestate alla pila la fanno ancora ripartire più brillante di prima, basta un quadratino di pochi pixel quadri di area; eh già, le app sui nostri smartphone hanno sostituito davvero tutto! 
Le app...io prima dell'avvento dei vari Galaxy, Optimus, Nexus nella vita di tutti i giorni, al sentir nomi del genere mi sarei riferito alla mia macchina incitandola alla trasformazione e allo schieramento con Bumblebee per paura di una guerra spaziale! E il termine "applicazione" era prerogativa solo delle maestre, della serie "suo figlio è bravo, intelligente, ma manca di applicazione" (alcuni dicevano la famosa frase "è bravo ma non si applica", che al livello scolastico ha la stessa fama del "le faremo sapere" on stage).
E ora?

mercoledì 13 novembre 2013

Pietre...

Vedete, se c'è una cosa che non ho mai amato è il latino. 
Io penso, e chi ha avuto l'onere di parlare con me già lo sa, che la definizione di "lingua morta" è quanto di più calzante ci sia per la lingua dei nostri trisavoli.
Eppure...
Eppure c'è un detto, un piccolo proverbio latino che ho sempre adorato, fatto mio in più di una occasione, che se non erro (e qui largo a voi latinisti, perché "se sbaglio mi corigerete") suona così:" gutta cavat lapidem".
Il senso di questo proverbio è presto chiarito, per chi non mastica l'eneica lingua: la goccia scava la pietra. Il significato più profondo è quindi legato al rapporto che c'è fra l'insistenza e l'ottenimento di un risultato; ma questa volta io, spiritualista a volte da far invidia a Hegel, voglio guardare il senso più materialista del proverbio, e leggere in esso il significato recondito del passare del tempo sulla nuda roccia.
Pensate, ad esempio, se la goccia fosse un po' come la mano dei fedeli sui piedi della statua di san Pietro in Vaticano, che carezza dopo carezza hanno consumato il povero arto del santo. Ecco, carezza dopo carezza, sfioramento dopo sfioramento, appoggio dopo appoggio...
L'ispirazione di quanto scrivo proviene proprio da una riflessione di questo tipo: avete mai pensato a quanta storia si nasconda dietro un semplice angolo smussato?

venerdì 11 ottobre 2013

Siamo fatti della stessa materia... (?)

Questa settimana ho avuto la fortuna di ascoltare una persona di grandissima cultura e che stimo molto per la preparazione che ha, ma non per le sue idee. Il passaggio  che più di tanti altri mi ha portato a riflettere è allo stesso tempo il fondamento di tutte le idee degli atei e materialisti del mondo: noi siamo materia. 
La nostra vita è solo una catena, una unione incredibile di spirali, una mera congiunzione dei 90 e passa elementi mendeleeviani. L'universo, la terra, le stelle, le piante, noi, gli animali siamo uguali, il risultato dell'interazione delle grandi forze della fisica e della chimica.
Noi.
Ecco, vedete, io penso che anche il primo non credente sulla faccia della Terra non possa non convenire che noi abbiamo qualcosa in più delle pietre. È vero, l'amore, la tristezza, la gioia, l'intelligenza sono il risultato di complesse reazioni chimiche, l'effetto finale di una catena di elaborazione che parte dai sensi e arriva al cervello; ma non tutto può risolversi in una manciata di elementi. Gli uomini sono capaci di modellare ed adattare il mondo ai propri utilizzi, è "misura di tutte le cose" per dirla alla Protagora, è capace di scegliere, ha il libero arbitrio ma, soprattutto, ha quelli che gli anglosassoni definiscono, con un termine meraviglioso,  "feelings".

martedì 8 ottobre 2013

Un disordine che dura una vita

E anche quest'anno l'estate è finita.
Eh si, per me l'estate finisce quanto torno dall'Albania. Sono nato a Durazzo e da più di venti anni vivo in Italia. 
Una volta, quando frequentavo le scuole elementari e medie, si trascorreva l'intera estate in Albania e la si riteneva conclusa quando si faceva ritorno in Italia, giusto qualche giorno prima la riapertura delle scuole. Col passare degli anni, a causa degli impegni crescenti, abbiamo iniziato ad andare ogni due anni, poi ogni tre.. e così via. Questa volta vi ho fatto ritorno dopo ben cinque anni.
In questo post voglio condividere la riscoperta di questo Paese  poco conosciuto, se non tramite pregiudizi che si son imposti nell'arco degli ultimi trent'anni e che tendono a considerarlo come un luogo quasi da terzo mondo, privo di ogni possibile attrazione. Questo fatto è dimostrato anche dalla domanda che ci ha posto un tizio alla dogana mentre si andava in Albania. In macchina eravamo cinque (Io, i miei genitori, mia sorella ed il compagno). Con le nostre cinque Carte d'Identità in mano il tizio chiede: "Cosa vanno a fare cinque italiani in Albania?" e babbo col sorriso: "Una gita." Il tizio lo guarda e si mette a ridere: "Ahahahah. Una gita in Albania."
Posso assicurare che, se si visita questo paese privi di pregiudizi, ne verrà fuori un viaggio unico ed irripetibile e non si potrà far altro che salutare l'Albania con una piccola lacrima pronta a scendere da ambo gli occhi.
Le cose che possono colpire uno straniero appena sbarcato in Albania sono più o meno infinite. 
Nelle grandi città, come Tirana e Durazzo, si rimane frastornati dal rumore del traffico. Non esiste Codice della strada. Non si ha il concetto di rotonda. Non si ha il concetto di "precedenza". Questa parola non esiste. Se ci si ferma per far attraversare la strada ai pedoni sulle striscie pedonali quelli dietro attaccheranno il loro palmo sul loro clacson. Le rotonde a Tirana sono incommentabili. Diventa una guerra entrarne ed uscirne. Le macchine ti tagliano la via da destra e da sinistra. Si sentono solo i clacson. Quando ne esci tiri un sospiro di sollievo e rilassi tutti i muscoli della schiena. Provoca molta più adrenalina l'attraversamento di una rotonda in Albania che il Katun a Mirabilandia.
La strada che collega Durazzo a Tirana viene chiamata Autostrada. Il problema è che in questa "Autostrada", dove si cammina per davvero, puoi trovare persone che passeggiano a bordo strada, carrozze trainate da cavalli, trattori, mucche, cinquantini.. e persino un gruppo di ciclisti. Tutte le considerazioni su traffico e la viabilità possono essere superate solo in un modo: spegnendo il cervello. Non bisogna ragionare e chiedersi il perchè di tante manovre insensate ed contro ogni codice. Le statistiche dicono che gli incidenti vedono prevalentemente coinvolti stranieri. E grazie! Se ti fermi sulle striscie pedonali e al semaforo puoi rischiare di essere tamponato perche quello dietro non concepisce proprio che te possa fermarti per far attraversare un povero pedone. Se stai percorrendo la rotonda e non fai attenzione (come è giusto che sia perchè chi è immesso nella rotonda ha la precedenza) alle macchine che arrivano, vieni colpito in pieno.
Quindi, prima regola, guidare come fanno tutti gli altri.
Per non parlare poi dei cavi elettrici. Ad un palo della luce sono attaccati almeno un centinaio di cavi, la cui densità fa pensare che quella strada sia attraversata contemporaneamente da centodifferenti linee di filobus.
Forti emicranie ed un senso di disordine e di caos ti colpiscono quando osservi i palazzi delle città. Si possono tranquillamente trovare palazzoni di venti piani e lussuosi centri commerciali sovrastare cadenti case secolari. A partire dagli anni '90 c'è una stata un'edificazione spaventosa, spesso senza criterio e senza ordine. In molti casi, le persone hanno provveduto da se ad aggiungere un pezzo al loro palazzo, occupando magari il marciapiede, oppure costruendo balconi in vie strettissime, sino a trovare casi in cui due balconi di due palazzi separati da una via arrivano quasi a sfiorarsi.
Un altro aspetto che colpisce immediatamente lo straniero è l'amore del popolo albanese per le macchine di grossa cilindrata. Son convinto che l'Albania sia il luogo ultimo di tutte le Mercedes del mondo. Sette/otto macchine su dieci sono Mercedes.
Quelli appena elencati, sono solo alcuni degli aspetti che attirano immediatamente l'attenzione dello straniero.
Per capire l'indole ed il carattere degli albanesi occorre ovviamente vivere per le vie ed osservare le persone.
Se entri in una delle moltissime sale biliardo sparse per la città osserverai sempre, oltre alle nuvole di fumo, uomini che discutono animatamente. Quando si gioca, a qualsiasi cosa, carte, biliardo, calcio, scacchi, ping-pong... la discussione è sempre lì pronta a scoppiare. L'albanese non accetta di perdere, è molto competitivo. Quando si gioca non esiste la parola "Amicizia". Si discute animatamente, ci si attacca ad ogni possibile errore dell'avversario. Finita la partita ed abbandonata la sala da biliardo, si ritorno amici. Ho trascorso la mia vita ad osservare il mio babbo discutere animatamente con i suoi migliori amici. "Hai toccato la pallina con la maglia, il tuo tiro è nullo" (se giocano a biliardo). "Hai battuto cercando di nascondere la pallina con la mano sinistra" (se giocano a ping-pong). "Se hai toccato quella pedina la devi spostare, non mi interessa che stavi solo ragionando" (se giocano a scacchi).
Gli albanesi parlano tranquillamente tre o quattro lingue. Non cercate di parlare italiano per non farvi capire, perché non esiste albanese che non sappia parlare italiano. Lì, grazie alla parabola, si guarda la tv italiana. 
Il compagno di mia sorella è rimasto sbalordito perché tutti i miei parenti, da più piccoli ai nonni e zii ottantenni, parlano perfettamente italiano.
Sono rimasto sbalordito quando nella città di Kruja, la città natale dell'eroe nazionale albanese Giorgio Castriota Scanderberg, un signore molto anziano, che ipotizzo potesse avere almeno ottant'anni, si è rivolto a me in inglese, credendomi forse anglosassone. E pensare che in Italia l'inglese è spesso visto come una lingua molto difficile da imparare anche dopo anni e anni di studio. Da premettere che, una cosa che ci aveva sconvolti tutti, mentre si andava nella città di Kruja, era stata la visione di un tavolo da biliardo in mezzo alla strada, a cielo aperto, con le persone che vi giocavano tranquillamente mentre il traffico impazzava attorno a loro.
Un altro aspetto che si coglie dopo qualche giorno che si gira, è l'enorme cordialità ed ospitalità delle persone. Tutti, tassisti, baristi, camerieri... oltre ai normali saluti, ti chiedono come stai. E lo fanno col sorriso.
La cordialità è disarmante. Per non parlare della correttezza. 
Insomma, in Albania si può assistere a tutto ed al contrario di tutto. Vengono raggiunti gli eccessi in ogni aspetto della vita quotidiana. L'importante è chiedersi il perché di tali comportamenti. Quando non capisco il perché di molte scelte o di modi di vivere delle persone locali cerco sempre di contestualizzare ricordandomi che l'Albania esce da una dittatura durata decenni, che ha lasciato il popolo povero e senza un soldo, senza macchine e senza case, quindi comprendo il perché di macchine da centinaia di migliaia di Euro e di ville ultra appariscenti.
L'aspetto forse meno conosciuto dell'Albania è la sua maestosità ambientale. Si può tranquillamente confondere una località balneare del sud dell'Albania con una spiaggia Tropicale. Ci sono laghi e fiumi bellissimi. L'Albania, prima che nelle sue città, va scoperta nei suoi paesaggi naturali.
Per un'intera settimana ho chiesto al compagno di mia sorella cosa pensasse dell'Albania, visto che è stato il suo primo viaggio. Non mi ha mai risposto. Lo posso capire. Lo posso capire perchè io stesso, che ci sono nato, non ho un'idea ben chiara. Sono combattuto tra il caos delle città ed il sorriso e l'animo buono delle persone, tra gli splendidi paesaggi naturali e i bruttissimi palazzoni costruiti sino in riva al mare.
L'Albania va scoperta. E per scoprirla posso assicurare che non occorrono nemmeno tanti soldi.
Forse una mezza risposta il compagno di mia sorella me l'ha fornita. L'ultimo giorno di permanenza in Albania, siamo andati al cimitero a trovare i miei due nonni. Il cimitero è un caos. Colline intere di lapidi. C'è un viale principale che separa musulmani e cristiani. Dopo aver impiegato quaranta minuti per trovare la tomba del nonno il compagno di mia sorella dice: "praticamente in questo paese nasci e muori nel disordine" visto che non avevamo alcun criterio e modo di cercare la tomba rapidamente, ma solo passandole in rassegna tutte.
Forse è vero, una delle parole che viene in mente visitando l'Albania è "disordine". La mia convinzione è che dopo decenni di massimo ordine, massimo inquadramento e controllo da parte della dittatura, tutti uguali, tutte le case uguali, persino tutti i mobili nelle case erano uguali, tutto dello stato e nulla privato... le persone in questo stato non vogliano sentire parlare di ordine almeno per qualche anno ancora. 
In quel caos di lapidi però, Il Lago dei Cigni di Tchaikovsky, suonato a massimo volume dal mio cellulare appoggiato sulla lapide del nonno, deve aver riportato un pò di pace e di ordine.
Chissà quante volte il nonno, da dietro le quinte del suo teatro, deve aver visto e sentito il Lago dei cigni. E chissà quanti aneddoti avrebbe potuto raccontarmi di quegli anni. Mentre mia sorella e mia mamma si commuovevano guardando la foto del nonno, io sorridevo, perché ero felice di esser lì e di aver fatto riascoltare questa grande opera al nonno e non riuscivo ad esser triste, ma solo felice.




Giorgio Castriota Scanderbeg


mercoledì 18 settembre 2013

La vita è come una busta di biscotti...

È da un po' che non ci sentiamo...
Recentemente mi è capitato di vedere una foto, della quale non vi rivelerò i soggetti, che ha attirato fortemente la mia attenzione: è una foto semplice, ma allo stesso tempo bellissima, talmente bella che ogni volta che mi sono trovato a passarci vicino le ho dedicato almeno un paio di occhiate e qualche secondo di riflessione. Questa foto di cui vi parlo raffigura un abbraccio fra due persone che, ovviamente, si amano molto, e l'espressione di uno dei due visi ha fatto sì che la mia mente iniziasse a riflettere sul grande significato che un gesto dalla disarmante semplicità presenta: l'abbraccio. 
Una parte di questa riflessione,  se volete, si nasconde anche dietro l'ardua scelta che ogni persona si trova a dover compiere una volta che, "inaspettatamente" ;) , si trova nel reparto biscotti. 
Non  so voi, ma io tra i biscotti da colazione del Mulino Bianco ho sempre avuto un debole per loro, gli Abbracci. Vedete, comprare gli Abbracci non è come acquistare le Gocciole della Divella al posto di quelle Pavesi: non si possono comprare dei semplici frollini panna e cacao, e vi spiego perché.
Il nome dei biscotti è di per sé una poesia, e guardatelo sotto questa luce. Gli Abbracci sono biscotti, quindi hanno zucchero, pertanto gli Abbracci sono dolci, e mai nome fu più azzeccato. E voi direte "bravo, bella scoperta!"...
Ora la meraviglia. 
Gli Abbracci, se avessero un altro nome, sarebbero semplici frollini da latte; proprio il loro nome, invece, me li fa apprezzare come splendida metafora da forno della fratellanza umana, rappresentano una manifestazione di affetto fra diversi, uno stringersi amorevole fra due persone con un diverso colore della pelle, un consolarsi fraterno fra due compagni con un diverso stato d'animo, un simbolo di compartecipazione ad uno stesso destino, un vincolo indissolubile, l'incontro di due gusti così diversi ma così buoni insieme, tanto che ti verrebbe da chiederti (ma tanto già lo sai) di cosa saprebbero da separati. Avrebbero semplicemente il sapore di una Macina e di un biscotto al cacao...
Ma non osi separare uomo ciò che mulino unisce!!! 
Ecco, vedete, io non mi sono mai sognato di spezzare un Abbraccio, mi sentirei come un venditore di fiori ambulante che disturba in un momento di affetto, come lo squillo di un cellulare durante una dichiarazione d'amore. Non si interrompe una energia del genere. 
Un abbraccio è un gesto molto diverso da un bacio, e per certi versi molto più potente. Esso simboleggia il completo abbandono l'un l'altro degli "abbraccianti", una reciproca accoglienza nel proprio spazio vitale. Non si abbraccia mai chi non si conosce,  mentre magari si bacia sulla guancia una persona che ci viene presentata.  
Il perché è presto detto: nell'abbraccio sono nascosti contemporaneamente il desiderio di possesso e quello di abbandono, il desiderio di amare e quello di essere amati, la forza della vicinanza e la paura della lontananza. È l'ossimoro dei sentimenti, è bello e brutto insieme, si abbraccia chi non si vede da tanto e si sente di nuovo vicino,  e si abbraccia chi sta per lasciarci. Si abbraccia chi si ama da morire e si vorrebbe per sempre vicino, e si abbraccia chi abbiamo paura ci lasci...
Vedete, in realtà per me quella foto nasconde tutto questo, e in un certo senso, nella mia voglia di vedere del romantico su tutto, anche in un semplice biscotto che abbiamo ogni giorno sotto il naso si nasconde tutto ciò...
La vita è come una busta di Abbracci: la apri e al primo ti brillano gli occhi perché sono belli proprio come quel gesto do cui portano il nome; poi vedi quelli che hanno avuto la sfortuna di rompersi e ti rattristi, ma continui a cercare gli interi, e quando li trovi sei felice. E anche se sono tutti rotti, sai che nella busta per ogni metà bianca c'è una metà nera...
Io domattina faccio colazione con latte e Abbracci, e i poveri che hanno avuto la sfortuna di rompersi cerco di ricomporli, perché non si può rompere un abbraccio. 

Parola di Banderas ;).




lunedì 12 agosto 2013

Sogno di una notte di 3/4 d'estate

Non tutti sanno che proprio oggi è la notte in cui è maggiormente probabile vedere delle stelle cadenti in cielo, e non la notte di San Lorenzo, anche se tradizione vuole che il naso all'insù sia prerogativa del dieci agosto. "Io lo so perché tanto di stelle per l'aria tranquilla arde e cade", forse perché nel mondo c'è un gran bisogno di desideri...
Noi, la società degli eterni insoddisfatti, di chi ha 100 e vorrebbe 1000, di chi ha 0 e deve sopravvivere, deve andare avanti anche magari attaccandosi ad uno stupido corpo celeste che solca il cielo incendiato. Eppure, forse, il bisogno di desideri non è solo una nostra necessità, forse c'è sempre stata la voglia di far influenzare la propria vita da agenti esterni! Ed è per quello che alziamo gli occhi al cielo, che li chiudiamo soffiando sulle candeline o mentre qualcuno ci allaccia un braccialetto della fortuna, che speriamo ci capiti la parte buona dell'osso del pollo o che la ciglia rimanga attaccata... 
Avere desideri è qualcosa da insegnare ai propri figli, che ormai non guardano più al cielo, allo stesso modo come bisogna insegnare loro che ognuno è artefice del proprio destino: perché la vita la dobbiamo decidere noi, ma ogni tanto qualche piccola soddisfazione è lecita sperarla. I desideri sono richieste fatte a cuor leggero, o talvolta a cuore troppo pesante da poter pensare che la realtà è quella che veramente viviamo, e che probabilmente nessuno può cambiare. 
Eppure...
Eppure è così bello pensare che ad occhi chiusi, per un tempo pari a quello con cui la meteora ci passa avanti agli occhi,  o pari a quello della fiamma di spegnersi, per un attimo ci solleviamo da terra e andiamo a pescare una speranza in cielo o nel profondo del cuore, lì dove nessuno può rubarla; la tiriamo fuori perché magari qualcuno ha voglia di realizzarla, o tutto il mirabile meccanismo del fato si mette in moto per aiutarci a realizzarla. 
Eh già... 
Molto spesso il desiderio è solo un modo di darci la spinta, quella spinta che a volte ci manda avanti e a volte ci trattiene dalle cose peggiori; perché è sempre una spinta sia quella che ci fa immergere nelle meraviglie degli abissi sia quella che ci tiene a galla per non affogare, e ogni anno potremmo avere bisogno di una o dell'altra. Ecco perché i desideri sono belli, sono un po' come fede in alcuni casi: uno spostamento della propria forza interiore verso l'esterno, la modellazione di qualcosa che ci dà la spinta per affrontare la vita. Non è paragonabile all'avere un semplice portafortuna, alla semplicissima ritualità di una superstizioni il desiderio non è nascosto nel gobbo sopra il corno rosso, o nelle code di svariati animali attaccate qua e là. 
Il desiderio è nobile, è puro e semplice, ha la candidezza e la bellezza del viso di chi chiude gli occhi per esprimerlo, serrando le labbra in un sorriso accennato che sembra dire che "forse non si realizzerà", oppure "che bello se si realizzasse", o " sarebbe un vero miracolo"... 
Io di braccialetti portafortuna brasiliani ne ho molti e ne avevo molti, e ho perso il conto dei desideri; ho tanto nella vita, forse 100 e vorrei 1000 sbagliando, però quel 1000 che vorrei per me significherebbe dare 100 ad ogni persona, perché se hai la felicità di chi ti è vicino e ti vuole bene non puoi desiderare altro. 
Ho 25 anni, quasi 26.
E gli occhi li chiudo ancora. 
Desidero...






lunedì 5 agosto 2013

Un chiletto di felicità

Questo post è nato già qualche tempo fa, ma altri impegni di scrittura ( e alcuni lettori sanno di cosa parlo ) mi hanno tenuto lontano dallo scriverlo. Oggi, visto che un po’ di tempo ce l’ho, ho deciso di mettere nero su bianco quello che ormai mi gira in testa da più di una settimana.
Tutti noi, chi più chi meno, abbiamo vissuto una parte dei nineties, ossia i favolosi anni ’90. Certo, tutti i decenni sono favolosi: e i favolosi anni ’60 perché c’era la Pavone, e i favolosi ’70 perché c’era il rock, e i favolosi anni ’80 perché si andava a ballare con la camicia con le punte e i pantaloni cipria come John Travolta ( ah, magari fossi nato quel periodo )… e io dico i favolosi anni ’90, anche se devo dire che anche il 2000 non è stato male.
Ecco, in quegli anni noi giovincelli del 1987, come si dice, abbiamo fatto lo sviluppo. Era il periodo in cui si iniziavano a guardare le ragazze, e soprattutto il periodo in cui si guardavano le bellissime attrici e modelle della tv, belle, precise e…magre!
Si dico magre, ma nell’accezione negativa. Era un po’ il periodo in cui si iniziava anche a sentire fortemente parlare dei problemi alimentari, tutto pur di assomigliare a quella modella lì o quella attrice lì. Non sono esperto del settore, non ho mai avuto problemi di quel tipo (no, proprio no!) e non voglio scrivere uno di quei post critici, ma voglio fare una riflessione.
Gli anni ’90 erano anche gli anni dei paparazzi, della privacy a tutti i costi, ed era nella solitudine di una stanza che questi problemi crescevano. Gli amici si vedevano sotto casa, al mare, ma il più delle volte i pasti erano in casa; guai a tirare fuori foto della discoteca, guai a far vedere ai genitori atteggiamenti lontani dalla castità domestica, GUAI!!!!
Bene. I favolosi anni ’90 se ne sono andati ormai da un bel po’. La privacy, probabilmente, con loro.
Finito il periodo dei rullini, delle telecamere con videoregistratore a spalla, finito il silenzio. Smartphone, fotocamere, divertimento, e soprattutto il binomio che io penso sia caratteristico di questa gioventù: social e happy hour.
La mia riflessione nasce dall’osservazione di quelle che definisco “trippette da happy hour”, ossia le pancette che ragazzi e ragazze mostrano al mare (ovviamente non mi riferisco a prominenti epe!), senza aver vergogna di nulla. Vedete, la pancetta è sinonimo di chi prende la vita con leggerezza, di chi sa divertirsi, di chi vive social. Al giorno d’oggi la parola d’ordine è share, ossia condividere. Si esce con gli amici, aperitivo, foto, Instagram, Facebook, Twitter, Google plus e chi più ne ha più ne metta…. L’aspetto più bello del social è che, ormai, si è portati a vivere in branco, fuori da quella prigione che era la camera da letto degli anni ’90, lontano dal riflesso di quello specchio che ogni giorno rifletteva una immagine più bella, ma più brutta; come direbbe un coautore del blog:” se non sei social sei fuori!”, ed è verissimo. Ormai avere Facebook o simili è obbligatorio, e le persone che non pubblicano si pensa siano rinchiuse in qualche eremo su Morrone a flagellarsi con del cilicio, invece che ad ubriacarsi con del Mojito.
Abbiamo trovato la nostra dimensione in uno spazio che di dimensioni non ne ha, e al contempo ne ha infinite: il web. La popolarità che una volta si misurava con il vociferare nei corridoi ora si misura in menzioni su Twitter, in numero di amici su Facebook, in +1. E, in fondo, è bello così.
Le persone non vogliono, e non possono far vedere di essere sole e tristi, non va bene. E così si esce, si cena fuori, si prende lo spritz con rustici che poco importa siano di tre o quattro giorni prima, perché al massimo ci sentiamo male tutti insieme. Si esce a prendere una birra, si va a mangiare a quella sagra piuttosto che a quell’altra, si ride, si scherza, e si mette la pancetta. E, cosa ancora più bella, la fatidica frase “prova costume” ormai non la dicono seriamente nemmeno più i giornali!!!
Io, dico la sincera verità, adoro la trippetta da happy hour, perché alla fine qualifica una persona.
Il palestrato, ad esempio, è quello che spende tutto in prodotti per il proprio corpo, sta 8,9 ore in palestra, e al compleanno ti regala un cronometro, così puoi prendergli i tempi delle prestazioni.
Il ragazzo con la pancetta, o la ragazza con la pancetta, è quella che non si nega l’uscita con gli amici, che si diverte, che se la inviti a cena non fa la tignosa… insomma è social!
Alla fine le nonne avevano ragione a dire di prendere quelle con i fianchi larghi, ma più che per il parto per tutto quello che viene prima ;) .
E poi,  in fondo in fondo, ci interessa qualcosa di quei chiletti di più? Alla fine lo specchio ci serve davvero?
A me sì, per vedere se sono sporco di gelato!
Cheers

venerdì 19 luglio 2013

Che forma ha la vita?

Oggi, mentre ero in macchina, ho avuto la fortuna di ascoltare alla radio l'intervento del nostro caro astronauta Luca Parmitano in diretta dallo spazio, che al Presidente del Consiglio sottolineava la bellezza dell'Italia vista dall'alto, con la sua inconfondibile forma "a stivale" (che tante volte, però, sembra usare sul nostro didietro) e la sua stupenda unità, alla faccia di tanti secessionisti governanti e di tante persone che gridano al distacco nord-sud.
Ma il post non vuole avventurarsi su dissertazioni di natura politica, bensì su una cosa che mi ha fatto riflettere: la capacità dell'uomo di rintracciare le forme in natura.
La penisola italiana, infatti, è identificata come lo stivale, un po' come Eritrea, Etiopia, ecc... sono identificate come corno di quello strano essere che è l'Africa, e così via.
L'uomo ha da sempre rintracciato negli splendidi disegni della natura qualcosa che fosse vicino al razionale, chiudendo all'interno di contorni certi qualcosa che in realtà è soltanto il risultato di processi fisico-chimici.
Pensate, per esempio, alla bellezza delle costellazioni, composte da stelle lontanissime, probabilmente già mutate in forma oppure morte, ma che nel cielo disegnano da secoli forme stupende che prendono il nome di animali, di oggetti, di personaggi mitologici, di segni zodiacali. L'uomo ha da sempre cercato di formare la natura a sua immagine e somiglianza, e quando non ci è riuscito per una certa impossibilità ha cercato di rintracciare in essa forme che fossero famigliari, per poter riprodurre magari un concetto con un simbolo, o per potersi meglio muovere nel mondo, oppure semplicemente perché in un momento di follia si è abbandonato alla favolosa macchina della fantasia.

E' così che, in un momento di amore, le nuvole diventano cuori, in un momento di riflessione le montagne assumono i contorni di belle addormentate o di scimmie, in un momento di rabbia tutto ci ricorda la persona che in quel momento odiamo di più...
Cercare di identificare una sorta di razionalità in natura significa da una parte lasciarsi avvolgere dall'idea che forse c'è qualcuno che si diverte a stuzzicarci con degli splendidi disegni, un po' come quando noi con pochi tratti su un foglio cerchiamo di far indovinare una parola al nostro compagno di squadra di Pictionary; dall'altra invece, scopre il desiderio dell'Uomo di poter controllare qualsiasi cosa, di poter associare ad ogni oggetto in natura un proprio aggettivo, di poter decifrare senza difficoltà quel magnifico mondo che gli si pone davanti agli occhi, cercando di conoscere i caratteri nei quali il mondo è scritto in forma "di triangoli, cerchi ed altre figure geometriche.
Ma perché cercare per forza di dare una spiegazione a qualcosa davanti alla quale dovremmo solo e semplicemente restare senza parole? Perché ridurre delle trasformazioni millenarie di idrogeno, oppure dei cumuli di vapori, a carretti sgangherati o animaletti da vecchia fattoria?? In effetti è davvero molto divertente rintracciare delle forme nelle cose, presuppone una certa elasticità mentale e un cervello sempre in moto, sempre pronto a captare delle sensazioni dall'esterno, sempre nell'atto di studiare, capire, cercare, conoscere, indagare, trovare, formare, delineare, calcolare, scrivere, guardare, elaborare, pensare, disegnare, dedurre, manipolare, descrivere...
Basta, una nuvola è solo una nuvola. Guardala. E respira.


giovedì 18 luglio 2013

Vediamo chi arriva prima

Coloro che vivono o hanno vissuto in Lussemburgo, per descrivere il clima della loro nazione, sono soliti affermare: "in Lussemburgo piove due mesi l'anno, il resto del tempo è brutto tempo". Ecco, Modena non sarà il Lussemburgo ma non si può nemmeno dire che abbia un buon clima. L'inverno è molto freddo e la sensazione di freddo è incrementata dalla notevole umidità. Piove spesso e la neve non è rara. L'estate è calda, umida ed afosa e per di più non tira mai un filo d'aria. Primavera ed Autunno durano rispettivamente qualche giorno e più che altro sono percepite dall'osservazione dei colori della flora locale. Quest'anno, quando le temperature lo hanno permesso, sono quasi sempre uscito a correre. La corsa è una delle poche cose che mi consentono di rilassarmi e liberare totalmente la mente, oltre a dare quel tipo di stanchezza fisica che ti fa star meglio. Spesso, in mezzo a minuti privi di pensieri, nascono idee, progetti e soluzioni oppure riaffiorano ricordi, come le corsette, d'inverno ed in pantaloncini corti, a L'Aquila, sotto zero, quando il solito amico, puntuale e preciso, non come il treno sul quale sto viaggiando, ti citofona e dice di scendere. Poi via di corsa in Via XX Settembre, sino ad arrivare alla Basilica di Collemaggio, correndo in fila indiana perché il marciapiede è troppo stretto, qualche giro attorno al Parco del Sole e ritorno, che culminava col lancio della sfida e conseguente scatto per vedere chi arrivava prima. Comunque, quella di correre,  più che una volontà, col passare degli anni è diventata una necessità. L'ora è sempre la stessa, 19:30/20:00. Ultimamente, mentre faccio stretching o subito dopo aver iniziato a correre incrocio, lungo il bellissimo Viale alberato dove vivo, un Signore. Questo Signore, ogni sera, alla stessa ora, tutti i giorni... porta fuori suo figlio, paralizzato. Tutte le volte che lo incrocio, questo Signore mi saluta e mi sorride. Posso affermare con certezza di non essere in grado di definire e descrivere il tono della sua voce e la morfologia del suo sorriso. So solo che ogni volta, quando mi saluta e mi sorride, sospiro e mi sento meglio. Quel signore spegne tutti i miei pensieri, accelera il mio battito e mi fa sentire bene e sereno, e mi fa sperare di incontrarlo il giorno dopo, alla stessa ora, lungo lo stesso viale alberato.

sabato 13 luglio 2013

Occhi in alto, sempre.

Il cielo di oggi è diverso da quello di ieri e fortunatamente domani ce ne sarà uno nuovo. A questo punto la domanda sorge spontanea, dove vanno a finire i cieli vecchi?

Nelle fotografie.















giovedì 11 luglio 2013

Two minds without a single thought


L'altra sera cercavo di analizzare e catalogare tutte le Immagini salvate nel mio portatile e dopo aver dato un senseo a quei 76 GB di foto, mi sono imbattuto nella cartella "Varie". Questa raccoglie un pò tutto, locandine di film, celebri dipinti, atleti in azione, tramonti delle varie località del mondo, personaggi famosi.. insomma immagini scaricate di internet perchè per un qualche motivo, in un certo istante, mi hanno colpito.
Tra le tante ho trovato questa.


Mi sono fermato ad osservare questa foto ed in un lampo mi son balzati in mente un'infinità di ricordi legati alla visione delle esilaranti scenette recitate da questi due geni. Ora, io di questi due qui, ho visto, penso, quasi tutto quello che si poteva vedere ma non ricordo mai chi è Stanlio e chi è Ollio. Mi capita la stessa cosa per altri casi, come: Albume e tuorlo, chi è il bianco?; anione e catione, quale tra i due è quello positivo... Sono tutte cose che si sanno però lì per lì ti lasciano un pò perplesso. Dopo essere andato in salotto e aver sfogliato 3 dei 15 volumi della Grande Enciclopedia Italiana, sono riuscito a ricordare chi fosse Stanlio e chi Ollio. 
Questo, ossia che ho sfogliato l'enciclopedia,ecc.. , sarebbe stato quello che avrei detto ad una qualche persona per scherzare e fare un pò il simpatico. In realtà sono andato a controllare su Wikipedia. Non ho nemmeno un salotto. 
Leggendo mi son ricordato che avevo esplorato quella pagina almeno altre 3-4 volte in precedenza.
Tra le tante cose  si accenna al perchè della loro pronuncia storpiata e si spiega come si trattasse di una trovata casuale. Quando uscì il loro primo cortrometraggio il doppiaggio in lingue straniere non era ancora stato inventato. Si pensò allora, per non perdere il mercato estero, di far ripetere ogni scena cinque volte: inglese, francese, tedesco, spagnolo e italiano. Ad ogni sequenza gli attori secondari venivano sostituiti con altri di lingua diversa, mentre Stanlio & Ollio erano via via costretti a recitare nelle varie lingue (a loro sconosciute) leggendo le battute sul teleprompter posizionato dietro la macchina da presa. Questa si rivelò un'idea davvero geniale perchè ne venne fuori un effetto involontariamente comico. I due tendevano a storpiare le parole, invece di dire "stupido" dicevano "stupìdo", al posto di "automobile" dicevano "automobìle". Si decise in seguito, quando fu inventato il doppiaggio, di conservare questo loro modo di parlare poichè li rendeva unici per tutti gli spettatori non anglofoni.
Leggendo questo aneddoto mi sono tornate in mente le parole di un giovane Designer italiano, che qualche mese fa tenne una conferenza nella nostra Facoltà. Egli, Responsabile dello sviluppo dell'intera carrozzeria della F12 Berlinetta, parlando dei vari successi e fiaschi della storia dell'automobile, ci parlò dei primi modelli, quelli storici, di Fiat 500 e Mini Cooper. Ci raccontò come quei modelli, le loro carrozzerie, furono concepite in quel modo perchè i processi produttivi e tecnologici disponibili all'epoca imponevano quelle scelte al fine di avere un auto economica e quindi contenere i prezzi al pubblico. In poche parole, i fari rotondi della 500, il suo cofano avvolgente, le giunzioni in vista della Mini Cooper ed il suo tettuccio piatto, erano funzione della tecnologia disponibile di quei anni e non conseguenza di scelte dettate dal Design. Quelli che all'epoca erano dei limiti, negli anni sono diventati i veri e propri tratti caratteristici e distintivi di questi due modelli ed a questi le persone si sono affezionate. Anche se al giorno d'oggi la realizzazione di questi "tratti" non è pìù così economica, i nuovi modelli di 500 e Mini li riprendono e su questi basano la loro capacità di richiamare subito alla mente il modello storico.
Questi aneddoti, doppaggio Stanlio & Ollio, 500 e Mini, mi hanno dato un sensazione di Ottimismo. Le idee migliori nascono nei momenti di crisi, quando abbiamo vincoli e limiti da rispettare o quando le risorse sono poche,è in questi frangenti che ci sforziamo di più e la nostra inventiva e genialità vengono fuori al meglio.
Tornando alla foto.. Stanlio, nel motto dell'associazione "I figli del deserto", si riferiva a loro due affermando: "Due menti senza un singolo pensiero ".
La verità è che le commedie di Stanlio e Ollio vengono ritrasmesse dopo poco meno di un secolo dalla loro registrazione e la loro visione genera la stessa meraviglia della prima volta. Sono buffi, complici, simpatici, sbadati,  a volte complementari altre volte opposti. Sono Amici. Si cacciano nelle situazioni più improbabili e quando uno fa un danno,quasi sempre il solito, l'altro lo rimprovera, sempre nello stesso modo ("Stanlio, sei sempre il solito stupìdo" oppure "Ecco, mi hai cacciato in un altro bel guaio"), ma tanto il primo non capirà. Passeranno tutta la loro vita così.
Fanno ridere fino a far venire voglia di piangere, perchè sono Belli. E non chiedetemi di definire "Belli". Non vi capita mai, di fronte ad un bel dipinto, nella lettura di un passo di un libro, in una scena di un film, di fronte alla facciata di un monumento.. di voler esplodere in un pianto per quanta sia la bellezza e l'indescrivibilità di ciò che i nostri occhi guardano? "Belli" racchiude tutto, ed è indefinibile. Si dice "Belli" giusto per non restare in silezio, perchè solo il silenzio renderebbe l'idea dello spettacolo cui si sta assistendo. 
Aveva ragione Stanlio, erano due menti senza un singolo pensiero. Erano due uomini di cuore.


mercoledì 10 luglio 2013

La mia vita è uno zoo

Come annunciato qualche ora fa, sul blog ci sarà un appuntamento fisso (e ovviamente questa cosa è aperta anche agli altri autori) e sarà relativo al cinema. Questo appuntamento vorrà essere un po’ una recensione, un po’ un consiglio, come di quelli che si darebbero tra amici, un po’ uno spunto di riflessione per chi il film lo ha già visto e vuole condividere sfumature, piccoli significati e riflessioni che portano ad apprezzare molto di più il film in questione.
Ok, ho capito, ho già scritto un post poco tempo fa, però questo è diverso, quindi sorbitevi un po’ di questa pappardella, e poi magari vi viene in mente di vedere il film che vi consiglio, e vi invito a commentare questo post.
Il film di cui vi parlo oggi ha un titolo che tutto farebbe intuire, fuorché un film di un livello davvero molto alto: La mia vita è uno zoo (tratto da una storia vera).
Il titolo porterebbe a pensare che si tratti di uno di quei film un po’ stupidi, e invece no. È un film di una delicatezza fuori dal comune, un film che già a partire dalla fotografia, dai colori utilizzati ti porta nel caldo abbraccio di un gruppo-famiglia come quello protagonista del film.
Brevemente la trama (ancora grazie a wiki ;) )

Sconvolto dalla morte della moglie, Benjamin Mee decide di rivoluzionare la propria vita e quella dei figli, lasciando il (redditizio) lavoro di reporter e decidendo di cambiare casa. Ma c'è un problema: la casa "ideale" che lui sceglie si trova in un vecchio e decrepito zoo, completo di 200 animali esotici e "lontano 9 miglia dal negozio di alimentari più vicino". La casa, per contratto, può essere acquistata solo da un acquirente che prometta di mantenere attivo lo zoo. Nonostante i numerosi imprevisti (economico-finanziari, di gestione famigliare ed elaborazione del lutto), Ben e i due figli riusciranno con tenacia a rendere presentabile lo zoo, in quella che a tutti gli effetti si tramuta in una sfida che si carica di ben altri significati (il tutto con l'aiuto di una stravagante compagnia di inservienti, capeggiata dal personaggio di Scarlett Johansson).

Il film così relegato nelle poche righe di una trama scritta da qualcuno sembra essere davvero un film qualsiasi, ma fidatevi che non lo è. L’avventura che la famiglia affronta, e in particolare il capofamiglia (Matt Damon) è ricca di episodi che hanno significati nascosti rintracciabili confrontando ciò che succede al personaggio con ciò che avviene nel mondo animale che lo circonderà.
Un esempio su tutti, e non li dico tutti per non rovinarvi il film, è quello della vicenda della tigre Spar.
La tigre è malata e tutti consigliano a Ben di farla sopprimere perché non ce la fa più. Lui si ostina a curarla, cerca di starle vicino, di darle medicine, ma la tigre rinuncia ad essere aiutata, vuole apparire più forte ma non lo è. Ad un certo punto capisce che non può farcela più e decide che è pronta ad andare via, e anche Ben si accorge di questo, e la lascia andare. Ma dappertutto tiene vivo il suo ricordo utilizzando un disegno del figlio come nuovo logo dello zoo, un disegno che ritrae proprio quella tigre e che lui piazza ovunque, così come lui in giro per la città vedeva dappertutto la sua moglie ormai morta. Ecco, alla luce di quanto vi ho scritto ora, provate a guardare il film, a scorgere le vicende che superficialmente sembrano solo di contorno al film ma che in realtà sono colonne portanti dello stesso, perché accompagnano il protagonista lungo un viaggio che lo vedeva concentrato sugli esseri umani, che lo ha visto più concentrato sugli animali una volta che l’essere umano che più contava per lui lo ha abbandonato, ma che lo ha visto ritornare a vivere da umano alla chiusura del circolo delle vicende.
Chiaramente aspettatevi anche qualche lacrima, io perlomeno mi sono commosso tutto il film, ma sono abbastanza sensibile al bel cinema, e non me ne vergogno ;).
Insomma, questo è il film che vi consiglio questa settimana.

Sai, a volte tutto ciò di cui hai bisogno sono venti secondi di coraggio folle. Letteralmente, venti secondi di audacia imbarazzante. E ti assicuro che ne verrà fuori qualcosa di grande.




martedì 9 luglio 2013

I'm an alien, I'm a legal alien!

Telefono,casa.

Alzi la mano, anzi, alzi l'indice chi non conosce questa frase. No, non parliamo né di stupidissimi call center che vi offrono chiamate gratuite per il Botswana, né tanto meno di pinguini rapper che, con una operazione pubblicitaria da fare invidia al signorino “Buonasera”, instillano ritmi sincopati che manco la Hit Mania Dance di Mauro Miclini.
Sto ovviamente riferendomi a quel bell'esserino venuto da lontano: ET. L'extraterrestre per eccellenza, l'alieno stereotipato così lontano dai marziani di Mars Attack, dagli esseri di Independence Day o dai venusiani di Adamsky, un essere quasi rassicurante nella sua ingenuità.
Beh, in un giorno come questo non poteva mancare un post del genere, visto che anche mamma Google ha deliziato la nostra giornata con quel favoloso giochino su Roswell (ad oggi solo un pensiero mi frulla in testa, e ve lo dico in hashtag: #iovogliolavorarealladivisionedoodledigoogle), e qualcuno ha forse rischiato il licenziamento pur di ricomporre la navetta del grigio e farlo ripartire verso chissà quale Terra lontana.
La domanda che tutti, almeno una volta nella vita, ci siamo posti è: ma siamo davvero soli nell'universo????
Una domanda del genere trova tutti impreparati, e allo stesso tempo tutti capaci di una risposta, più o meno filosofica, più o meno scientifica, più o meno fantastico-cinematografica. Pensate che c'è chi ha risposto con una equazione, detta Equazione di Drake, alla possibilità che vi siano altre vite oltre la nostra, e altre case oltre la nostra, e magari altre IMU insieme alla nostra ;) ( e pensate che qualcuno ha applicato la stessa equazione per vedere quante sono le anime gemelle possibili nel proprio territorio!!!): potere e meraviglia della scienza e delle capacità umane di ridurre il mondo ad un libro fatto di quadrati, e forme e equazioni.
Ora da me che risposta volete, quella da ormai ex ufologo consumato o quella da persona “normale”? Beh io vi dico che secondo me tanto soli non possiamo essere, sapete che noia! Eppure dico, allo stesso tempo, che la possibilità, fosse anche remotissima, di essere in contatto con qualcun altro un po' mi spaventa, acido deossiribonucleico a parte...
Non è razzismo, lungi da me esserlo, ma è qualcosa di talmente strano da non essere pienamente spiegabile. Voi come vi comportereste con un alieno se, per caso, riuscisse a mettersi in contatto con voi? Scartiamo il comportamento dettato da film e altro, ossia rapimenti, ecc..., ma pensiamo solo ad un puro incontro ravvicinato del terzo tipo “amichevole”, uno di quelli della serie “conosciamoci meglio”, un blind date con i grigi dai begli occhioni.

Bene. Raccontami la tua vita.

Io sono umano, noi viviamo su questo pianeta che si chiama Terra. Io mi chiamo Angelo e nella vita faccio...sono ingegnere (meglio di sicuro che spiegargli il dottorato di ricerca, concetto alieno anche forse al MIUR).
Ho 25 anni, vivo con la famiglia, ossia tante persone che hanno in comune tante caratteristiche, si somigliano. Ho una fidanzata, una persona con tante cose in comune, che ti somiglia (ecco, adesso mi sento come Renato Pozzetto che descrive al cieco Ezio Greggio il Duomo di Milano e le case allo stesso modo)...

E tu, chi sei? Da dove vieni?

E lì giù di descrizione, di cosa vengono a fare, di perchè proprio me...

E perchè siete qui?

Il nostro pianeta sta morendo. Il nostro popolo lo sta distruggendo, guerre, il pianeta sta esaurendo le sue risorse...Dobbiamo cercare una via di fuga, vogliamo continuare a vivere...

Ma non avete tecnologie avanzate?

Sì le abbiamo, ma esseri senza scrupoli le usano male, o non le usano affatto, e stanno portando il nostro mondo alla rovina, abbiamo bisogno di un aiuto...Forse sì, forse è per questo che ci siamo incontrati... Dovete aiutarci o non ce la faremo...

Ed è a questo punto che l'umano si inginocchia.

Stay.




giovedì 4 luglio 2013

Prime banalità

Miao a tutti! Chi vi scrive stavolta è il terzo coautore del blog, quello che non scriveva perché fino a 2 minuti fa non aveva l’ispirazione e che spera di trovarla entro le prossime 3 o 4 righe prima di cancellare tutto.
Non aspettatevi capolavori, né formule da nerd, ma nemmeno boiate colossali. Aspettatevi piuttosto le nostre passioni buttate su post scritti nel tempo libero; aspettatevi la quotidianità, l’attualità, la tecnologia (vedi Angelo).Aspettatevi un punto di vista, una visuale su un mondo che cambia ad una velocità pazzesca e ci trascina come un fiume in piena verso l’ignoto. Insomma una fotografia, come dice Marian.
Tutti si aspettano che parlerò di musica. Ma anche no. La musica la si consiglia, la si suona, la si ascolta, la si vive. Parlarne è riduttivo, il mio entusiasmo per il blues non potrà mai eguagliare un “let ring” di Mark Knopfler, un assolo di Jimi Hendrix o un bending di Clapton. La musica non si impone e non è un caso che negli ultimi 60 anni è stata l’espressione della libertà d’arte per eccellenza.
Oggi è 4 luglio, festa dell’Indipendenza americana. Oggi ho scritto una frase su Facebook “L'indipendenza degli Stati Uniti è l'inizio della fine dell'indipendenza di molti altri Stati”. Avrei dovuto scriverla così : “L’indipendenza americana comincia lì dove finisce quella di molti altri Stati”. Questa frase voleva essere di  spunto per un dibattito che non è nato. Non so perché ma ho pensavo agli starnuti abortiti di Totò. Sapete che sono un grande utente di Facebook. Pubblico di tutto, scrivo cazzate, promuovo musica (quella buona la tengo per me). Ormai su Facebook preferisco evitare di scrivere cose “serie” perché -come sosteneva oggi Vittorio- è un posto dove vige “la dittatura della stupidità”. (In realtà si riferiva ad altro, ma mi piace come espressione). La realtà virtuale che prende il sopravvento su quella reale. Litigate in commenti, tentativi di rimorchio convertiti  in “Mi piace”, sentimenti tramutati in codice binario, scambi di opinioni che finiscono quasi sempre nell’incomprensione di chi vuol avere ragione.  Tutto è “spiaccicato” su uno schermo, tutto visibile dall’altroaparte del mondo, che sia un parente o uno sconosciuto. La domanda che mi pongo ogni giorno è “Cosa ci sto a fare?” A volte vorrei cancellarmi, ma poi rinuncio perché mi dispiace perdere diversi ponti di stima/ammirazione/dialogo/culturali che ho costruito col tempo con alcune persone che non potrei contattare diversamente (se non con altri social network). Così rimando ormai da tempo il cancellare i “contatti mai contattati” o me stesso.  L’unica cosa che mi impongo ogni volta che mi connetto su Facebook  (giovedì sera esclusi) è di non cadere nella banalità di ridurre ogni cosa, come si tende a fare sui social network, ad un “Mi piace/Non mi piace più”. Perché anche una foto in bianco e nero, se ci pensate bene, è una foto a colori: quelli essenziali. 


mercoledì 3 luglio 2013

Un semplicissimo lampione


Sfogliare un giornale partendo dall'ultima pagina e controllare i risultati della notte appena si aprono gli occhi al mattino. Queste sono un paio delle caratteristiche di un appassionato NBA, il Campionato professionistico Americano di Basket. Per quanto mi riguarda la passione è nata nel 2001 quando, tra compagni di squadra in spogliatoio, ci si passava le cassette delle partite registrate da D+. Le guardavamo fino a consumarle. Venivano a mancare pezzi di video e di audio. Non che fosse un problema, le immagini e le telecronache (del duo Federico Buffa e Flavio Tranquillo, vere e e proprie divinità per gli appassionati degli sport nordamericani) erano state memorizzate dopo millemila visualizzazioni. L'apice degli scambi e dell'euforia per avere l'ultimo VHS si raggiungeva con le registrazioni dell'All Star Game, la partita delle stelle, appuntamento annuale che si tiene nel mese di Febbraio in una delle città che ospitano una franchigia NBA. La partita vede contrapporsi East Vs West e si può affermare con quasi totale sicurezza che i giocatori selezionati siano i 24 migliori al mondo. Per essere sinceri l’apoteosi si raggiungeva con la visione della gara delle schiacciate (spettacolo in programma il giorno prima della partita delle stelle), dove i migliori atleti della lega danno libero sfogo alla loro fantasia ed al sovrumano atletismo schiacciando nei modi più assurdi. Poi uno pensava: “Vabbè, che sarà mai saltare un metro in altezza, mettere tutto il braccio nel canestro, saltare sopra un uomo alto 2,15 m, decollare dalla linea del tiro libero (ossia a 6 metri dal canestro).. che ci vuole, tanto ha gli stessi muscoli che ho anche io, è alto come me”. Poi puntualmente, durante gli allenamenti con la squadra, cercavamo di imitare quelle giocate, di provare a saltare almeno la metà della metà.. ma nulla. Del resto Newton ha enunciato la sua legge solo per noi, esseri comuni, bipedi normodotati, mica per alieni del calibro di Michael Jordan, Doctor J o Earl Manigault. L’amore è esploso definitivamente nel 2002, quando un giovane Kobe Bryant vinse il suo terzo titolo consecutivo assieme al Grande Aristotele, o il grande Cactus, o il Diesel.. insomma ci siamo capiti, Shaquille O'Neal. Mi innamorai di Kobe, del suo agonismo, della sua passione per il gioco, della sua sfrontatezza, del suo desiderio di diventare il più grande di tutti i tempi, di dominare, dei suoi occhi nei finali Playoffs, dei denti digrignati dalla rabbia... e mi innamorai del mondo NBA, l'unico palcoscenico al mondo dove puoi vedere "danzare" ballerini di due metri e 10 per 120 kg. Slogan famosi di pubblicità passate alla storia recitavano: "Poetry in motion" o "Where Amazing Happens", ed in effetti solo lì possono vedersi gesti tecnici e atletici fuori dal comune. In ogni partita NBA si può essere testimoni di giocate mai viste prima e che mai più verranno replicate su un campo da basket. Dico su un campo da Basket, perché potrebbero sempre essere replicate in un videogame. In un videogame!
Il campionato termina a Giugno ma l'abitudine di controllare il cellulare appena aperti gli occhi non mi abbandona mai. Così, qualche giorno fa, qualche secondo dopo aver aperto gli occhi (e aver abbassato la luminosità dello schermo che era al massimo e che mi aveva accecato), controllando le e-mail, leggo che un mio Amico, l'autore di questo blog, mi aveva invitato a diventare Coautore. L’idea mi ha subito allettato poiché ho sempre desiderato tenere un blog, ma ora per un motivo, ora per un altro, non l’ho mai iniziato. Non ho iniziato a dedicarmi subito al mio primo post perché impegnato nella preparazione di un esame, dopo il quale sono state necessarie almeno trentasei ore per riprendere a pensare in lingua italiana e non più in Decibel, scale logaritmiche, ampiezze e fasi. Perché poi, la cosa brutta di studiare Ingegneria è che, dopo qualche anno, inizia a diventare difficile parlare Italiano. Ecco, parlare, non parliamo dello scrivere. Si è sempre immersi in diagrammi, leggi, schemi,programmi, manuali, ecc.. che diventa davvero difficile formalizzare un periodo di senso compiuto corretto grammaticalmente.
Oltre al sottoscritto, l’Autore del Blog ha nominato un altro Coautore, Luigi. Ed ecco così che tre vecchi cari Amici, così diversi (ma con lo stesso cuore), con passioni tra le più svariate, si ritrovano a tenere un blog insieme. Tre punti di vista diversi sulle dinamiche economiche, ambientali, sociali, culturali,ecc.. Caratteri differenti che colgono e analizzano le questioni da punti di vista differenti. Per di più tre persone separate da centinaia di chilometri.
C’avete creduto? Scherzavo. La verità è che siamo tre fotografi accomunati dal desiderio di esplorare ed immortalare l’ambiente che ci circonda, di cogliere, riconoscere e forse prevedere un istante ed un ambiente unico, come un sorriso, una reazione, un abbraccio, un tramonto, un albero o anche un semplicissimo lampione. Ognuno si posizionerà nel punto che riterrà migliore per comporre la scena della propria fotografia, imposterà l’apertura del diaframma, il tempo di esposizione, la temperatura della luce, metterà a fuoco, tratterrà il respiro… e scatterà. E questo non sarà un nient’altro che un album di fotografie, non un blog. Alcune di queste saranno state scattate di getto, d’impulso, dettate da quell’istinto e quella voglia di esprimere un emozione o un pensiero fugace. Altre saranno frutto dello studio e dell’ analisi attenta, dell’attesa del momento migliore e della luce più adatta in cui scattare.


Ah! Per chiarire la questione… Si sfoglia il giornale a partire dalla fine perchè la Gazzetta dello Sport riporta le notizie relative alla NBA nelle ultime pagine, dopo averne dedicate ottanta al calcio italiano, tedesco, francese… fino ad arrivare alla quarta categoria dell’ultima Lega dell’Argentina, per poi dedicarsi agli altri Sport. Sport, non calcio.

sabato 29 giugno 2013

Cinema e 1, cinema e 2, cinema e 3!

Settimana film. 
Sapete, ho proprio una grande passione per il cinema, l’unica cosa che mi frena è che ormai il prezzo del biglietto è arrivato ad un livello tale che sembra di stare acquisendo una parte dei diritti d’autore del film, per cui sempre meno persone si accalcano davanti alle biglietterie, e le uniche code per i film che vedo sono quelle sui Bittorrent, JDownloader, ecc… (per inciso, software di download pirata ;) ).
Il buon cinema vale il biglietto, checché se ne dica, ma il prezzo andrebbe ridimensionato. Proposta degli ultimi tempi negli USA è quella di un biglietto proporzionato alla spesa per la realizzazione del film, e questa cosa mi ha fatto venire in mente, insieme a tante altre, una parte di questo post ( il titolo del post, per chi non lo avesse colto, riprende un banditore d'asta).
Vedete, in questa settimana, da grande appassionato soprattutto delle storie di supereroi, sono stato ( insieme al fidato coautore del blog, che aspetto sempre si dimostri tale ;) ) al cinema a vedere “L’uomo d’acciaio”, risposta ferro-carboniosa della DC comics al grandissimo “Iron Man”, che di diverso oltre ai poteri ha solo il materiale.
Da bambini i primi supereroi ai quali ci siamo abituati, se non altro perché cinematograficamente hanno una storia ben più remota, sono Batman e Superman, e recentemente hanno visto una grande rinascita anche grazie al genio dei Nolan, oltre ad una spropositata manciata di effetti speciali, i quali valgono totalmente il prezzo del biglietto. Ecco, secondo questa descrizione, il prezzo del biglietto dovrebbe essere, mettiamo, 20€.
Ma il prezzo del biglietto vale ciò che il film ci lascia dentro?
Ok, mi è rimasta la sensazione di volare, ci ho provato, ed ora l’Itali è fuori dalla crisi petrolifera, ma affronta spese ospedaliere per curarmi che parificano il ricavato dal greggio ;).
Mi è rimasta la voglia di sconfiggere i maledetti Kryptoniani, ma quelli in Italia mica ci vengono, già distruggiamo tanto noi del nostro patrimonio, che vengono a fare…
E poi… e poi mi è rimasta la storia d’amore di Superman e Lois Lane ( a proposito, carinissimo il gioco che la mamma di Superman la interpreti Diane Lane!). Mi è rimasta la storia d’amore di Superman e Lois??



Beh veramente no, le scene non sono proprio quelle di Reeve che scendeva roteando con la sua Lois. Mmh…proprio no.
Allora del film non mi è rimasto granché, se non 2h e passa di meraviglia e gasamento per gli effetti.
Beh, sai che si fa? Si torna un po’ al caro vecchio cinema, di quelli che costavano poco, quasi niente, ma che tanto significato avevano.
E allora così, da un discorso casuale, mi torna in mente un film che sapevo essere simpaticissimo ma non ero riuscito mai a vedere interamente, e decido di vederlo. Il titolo, per chi lo volesse, è “A piedi nudi nel parco”.
Brevemente: attori principali sono Robert Redford e Jane Fonda, ambientazione NY.
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Ora, non so voi, ma a me i film realistici ambientati nelle città reali mi fanno uno strano effetto. Per questo, ad esempio,  a NY sono entrato da Tiffany, oltre che per avere un saggio della grandissima gioielleria ( e non per domandare cornetto e cappuccino, anche se Apu nei Simpson era riuscito a farsi servire!). Per Smallville o Gotham City Ryanair non fa servizio, quindi nulla.
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La storia gira intorno ad una coppia di sposini novelli, molto innamorati, che decidono di fare la loro luna di miele all’Hotel Plaza, in un turbine di passione che praticamente li vede circa una settimana chiusi in una stanza d’albergo senza uscire mai. Ecco loro, fin quando si baciano e si toccano e si tengono stretti si sentono in un mondo tutto loro, un mondo inattaccabile anche testimoniato dalle frasi senza senso che si scambiano.
Nel momento in cui Paul (Redford) decide che forse è il caso di andare a lavoro e di lasciare l’albergo inizia la fase calante.  I due, infatti, si danno appuntamento nella loro casa appena acquistata, che si trova al 5° piano di una palazzina senza ascensore. Una casa che definire “ bomboniera” per la piccolezza è un complimento, ma che vuole simboleggiare il classico nido d’amore; a testimonianza di ciò, una delle prime cose che lei fa è riprendere bene le misure della camera, così piccola che l’unico letto che vi entra è da una piazza e mezza, per stare “vicini vicini”, e non c’è possibilità alcuna di un armadio (ma nell’idea che lei si era fatta anche in quei giorni all’hotel non erano previsti vestiti). Lo stesso per il riscaldamento, del quale non troppo si preoccupa, ecc…
Il personaggio di Jane Fonda è di quelli, simpaticissimi, iperattivi, che fanno della spensieratezza la loro ragione di vita, personaggio che contrasta fortemente con la razionalità di Redford, avvocato che cerca la scalata al successo. Ed ecco che la crisi fa capolino quando questi due mondi si scontrano al di fuori delle lenzuola, e fuori dall’abbraccio lei manifesta insicurezza, o meglio, non si sente a suo agio in una storia d’amore che non sia pura passione e spensieratezza. Lui fuori casa, lei in casa. Lui, in particolare, porta con sé una bottiglia di scotch e se ne va al parco, quello stesso parco sul quale era stato rimproverato, perché non voleva passeggiarvi a piedi nudi come invece lei voleva. Ma nella distanza lei capisce che, in fondo, ama davvero lui e lo torna a cercare, e lo vede scalzo che danza ubriaco nel parco: ora le parti si sono invertite, perché in lei c’è il senno dell’amore, mentre lui, ubriaco, fa esattamente quello che lei voleva e faceva in precedenza, per cui parafrasando si può dire che Jane Fonda risultasse “ubriaca d’amore”.
Il film poi sia avvia verso il lieto fine, ecc… e altri piccoli significati li lascio ritrovare a voi, non voglio rovinarvi il film... :) Particolare il fatto che in un film che sostanzialmente è un film d’amore, il vero “Ti amo” venga pronunciato alla fine, quando entrambi si avviano alla vera vita insieme fatta di amore passionale, spirituale e del quotidiano.
Ecco, finito il film cosa mi rimane? Penso si sia  capito… il film di per sé sembra davvero poca roba, ma porta a riflettere, e quindi diviene un gran bel film per il messaggio che riesce a comunicare. Sulla base di quanto proposto in USA dovremmo pagare 5€ per vederlo, dato il budget effettivamente di poco conto. Eppure, in realtà, questi sono i film migliori, quelli che lasciano una certa morale; anche se la città di notte risulta illuminata solo dai lampioni e non dallo spot con pipistrello, non vuol dire che non valga la pena di vedere il film.

Io personalmente rivedrei il film 4 volte. E forse una camminata a piedi nudi nel parco vale la pena farla, ogni tanto.




lunedì 10 giugno 2013

Sliding doors


Sì, lo confermo: ho una mente malata.
Chiunque ha giornalmente in mente tante cose, le sente alla tv, per lavoro, per passione. Ma le passioni sono, solitamente, qualcosa di rilassante; le parole che ogni tanto vengono in mente così, quando non si pensa a nulla, sono sicuramente legate al quotidiano, o a qualcosa che abbiamo vissuto e che sì è stabilito nel nostro inconscio, pronto a venire a galla.
Freud lo diceva, nulla avviene per caso, soprattutto perchè, come gli antichi latini insegnano ( a me no, visto che non ho studiato latino ;P ) :”Faber est suae quisque fortunae”, ognuno è artefice del proprio destino, quindi quello che noi pensiamo sia un deja- vù o simili potrebbe benissimo essere che lo abbiamo causato noi.
Quindi, adesso, proviamo a pensare a caso ad una parola, insieme.
Ecco, a molti sarà venuta in mente una parola di una canzone, Facebook, ecc...
Fortunati voi, a me l'altro giorno è venuto in mente questo: entanglement.
Ecco spiegato il meraviglioso preambolo che sembra essere il degno anticipo di un ricovero neuropsichiatrico.
Molti di voi forse non conosceranno questa parola, anche se mi vanto di pochi lettori ma acculturati. Per chi non conosce questa parola ne riporto la definizione di Wikipedia, e poi filosofeggiando un po' capirete come e perchè questa parola sia affascinante.
L'entanglement quantistico o correlazione quantistica è un fenomeno quantistico, privo di analogo classico, in cui ogni stato quantico di un insieme di due o più sistemi fisici dipende dallo stato di ciascun sistema, anche se essi sono spazialmente separati. Viene a volte reso in italiano con il termine "non-separabilità".
Letto questo, i pochi di voi che saranno ancora svegli si staranno chiedendo perchè quei due neuroni che ci sono nell'ampio del mio cranio non abbiano niente altro da fare che pensare a questo e, ovviamente, con tutto quello che ne segue, a tutti i vari principi della fisica ad esso collegati, come il paradosso EPR ( se ne volete una spiegazione scientifica vi rimando a wiki).
Zzz...zzz...zzz
Ok. Vediamo perchè ci dovrebbe affascinare un concetto che riguarda le particelle, che nulla sembra avere a che fare con il nostro mondo.
La definizione ha nascosto in sé questo: due particelle che vengono messe insieme possono influenzarsi l'un l'altra, anche se sono spazialmente distanti. Cioè le proprietà di una possono cambiare in ragione di quelle dell'altra.
Fantastico.
Pensate a quanto le particelle ci somigliano. Le persone sono come spugne, assorbono le une dalle altre, assumono comportamenti in funzione di come si comportano le altre.
Magnifico.
Ora passo all'interpretazione che mi piace di più.
Due persone lontane possono agire e influenzare ciò che succederà, magari ad altre, magari a sé. Anche la più piccola azione non è nulla, ma ha ripercussioni da qualche parte, per qualcuno. “Il battito d'ali di una farfalla può causare un tornado dall'altra parte del mondo”: avrete sentito questo concetto miliardi di volte, e in esso questo concetto racchiude anche quello di entanglement.
Visto che non è tanto lontano da noi???
Inoltre, come spesso mi capita, succede che le cose che sembrano venire in mente per caso, tali non sono. Ed ecco che, ragionando sull'entanglement, arrivo subito alla teoria che più amo, e che secondo me è qualcosa di talmente bello e profondo che sarebbe impossibile da spiegare in poche righe: la teoria dei gradi di separazione.
Vi riporto wiki ancora una volta ( proprio gliele farei ste donazioni a wiki per quanto ci aiuta!!!!)
La teoria dei sei gradi di separazione è un'ipotesi secondo cui qualunque persona può essere collegata a qualunque altra persona attraverso una catena di conoscenze con non più di 5 intermediari. 
 
Al giorno d'oggi i gradi di separazione sono molti meno ( pensate che tutti gli statunitensi possono essere messi in relazione con qualcosa come 3-4 gradi di separazione medi) però la teoria non perde il suo fascino.
Ora mettiamo insieme le due cose, così come piace fare a me.
Allora qualsiasi atto che compiamo influenza qualcos'altro, o qualcun'altro, o noi stessi.
Ognuno di noi può essere messo in contatto con un'altra persona secondo un numero finito di gradi di separazione.
Ecco che le nostre azioni possono portarci ad entrare in contatto con un'altra persona, secondo delle azioni che tendono ad accorciare la distanza in termini di gradi di separazione fino ad arrivare allo 0: abbiamo creato il destino.
Conoscersi è dicotomia, è un sistema binario, entrare in contatto significa generare una certa sequenza di 1 e 0 per cui si arriva ad incontrarsi, e non ci è dato sapere cosa sarebbe successo se al posto dello 0 ci fosse stato un 1, o viceversa, anche se molto spesso ci accorgiamo che magari ci saremmo incontrati lo stesso con qualcuno (ecco che entrano i gradi di separazione!)
Dai, non succede mai, ma una volta correggiamo i latini: il destino non è proprio, ognuno è artefice di qualcosa, e quel qualcosa si ritrova specularmente nel destino di qualcun'altro, quindi non esiste IL destino, ma I destini, e non sono mai propri, ma sono una sequenza di intersezioni di insiemi che non finiscono mai.
Ci si incontra per un motivo, perchè di ogni insieme esiste il complementare,o esistono I complementari e l'entanglement e i gradi di separazione ci portano ad incontrare chi ci è meno lontano, spazialmente e sociologicamente parlando.
Quasi quasi lo cancello il post, non mi piace molto.
Però se lo cancellassi, e non lo pubblicassi, mai nessuno forse vi direbbe dell'entanglement, e forse non googlereste, e forse non andreste a vedere la serie TV flashforward che spesso lo nomina, e forse non ricordereste di aver visto l'attore in shakespeare in love, e forse non ricordereste di aver visto quel film in classe, e forse non ricordereste quella ragazza che tanto vi piaceva, e non vi verrebbe in mente di cercarla su FB, e non vi accorgereste che non è impegnata, e non provereste a cercare di contattarla tramite amici in comune ( gradi di separazione), e non uscireste insieme, e non vi sposereste, e non avreste dei figli...
Mah, quasi quasi lo lascio, che male fanno queste poche righe.