venerdì 19 luglio 2013

Che forma ha la vita?

Oggi, mentre ero in macchina, ho avuto la fortuna di ascoltare alla radio l'intervento del nostro caro astronauta Luca Parmitano in diretta dallo spazio, che al Presidente del Consiglio sottolineava la bellezza dell'Italia vista dall'alto, con la sua inconfondibile forma "a stivale" (che tante volte, però, sembra usare sul nostro didietro) e la sua stupenda unità, alla faccia di tanti secessionisti governanti e di tante persone che gridano al distacco nord-sud.
Ma il post non vuole avventurarsi su dissertazioni di natura politica, bensì su una cosa che mi ha fatto riflettere: la capacità dell'uomo di rintracciare le forme in natura.
La penisola italiana, infatti, è identificata come lo stivale, un po' come Eritrea, Etiopia, ecc... sono identificate come corno di quello strano essere che è l'Africa, e così via.
L'uomo ha da sempre rintracciato negli splendidi disegni della natura qualcosa che fosse vicino al razionale, chiudendo all'interno di contorni certi qualcosa che in realtà è soltanto il risultato di processi fisico-chimici.
Pensate, per esempio, alla bellezza delle costellazioni, composte da stelle lontanissime, probabilmente già mutate in forma oppure morte, ma che nel cielo disegnano da secoli forme stupende che prendono il nome di animali, di oggetti, di personaggi mitologici, di segni zodiacali. L'uomo ha da sempre cercato di formare la natura a sua immagine e somiglianza, e quando non ci è riuscito per una certa impossibilità ha cercato di rintracciare in essa forme che fossero famigliari, per poter riprodurre magari un concetto con un simbolo, o per potersi meglio muovere nel mondo, oppure semplicemente perché in un momento di follia si è abbandonato alla favolosa macchina della fantasia.

E' così che, in un momento di amore, le nuvole diventano cuori, in un momento di riflessione le montagne assumono i contorni di belle addormentate o di scimmie, in un momento di rabbia tutto ci ricorda la persona che in quel momento odiamo di più...
Cercare di identificare una sorta di razionalità in natura significa da una parte lasciarsi avvolgere dall'idea che forse c'è qualcuno che si diverte a stuzzicarci con degli splendidi disegni, un po' come quando noi con pochi tratti su un foglio cerchiamo di far indovinare una parola al nostro compagno di squadra di Pictionary; dall'altra invece, scopre il desiderio dell'Uomo di poter controllare qualsiasi cosa, di poter associare ad ogni oggetto in natura un proprio aggettivo, di poter decifrare senza difficoltà quel magnifico mondo che gli si pone davanti agli occhi, cercando di conoscere i caratteri nei quali il mondo è scritto in forma "di triangoli, cerchi ed altre figure geometriche.
Ma perché cercare per forza di dare una spiegazione a qualcosa davanti alla quale dovremmo solo e semplicemente restare senza parole? Perché ridurre delle trasformazioni millenarie di idrogeno, oppure dei cumuli di vapori, a carretti sgangherati o animaletti da vecchia fattoria?? In effetti è davvero molto divertente rintracciare delle forme nelle cose, presuppone una certa elasticità mentale e un cervello sempre in moto, sempre pronto a captare delle sensazioni dall'esterno, sempre nell'atto di studiare, capire, cercare, conoscere, indagare, trovare, formare, delineare, calcolare, scrivere, guardare, elaborare, pensare, disegnare, dedurre, manipolare, descrivere...
Basta, una nuvola è solo una nuvola. Guardala. E respira.


giovedì 18 luglio 2013

Vediamo chi arriva prima

Coloro che vivono o hanno vissuto in Lussemburgo, per descrivere il clima della loro nazione, sono soliti affermare: "in Lussemburgo piove due mesi l'anno, il resto del tempo è brutto tempo". Ecco, Modena non sarà il Lussemburgo ma non si può nemmeno dire che abbia un buon clima. L'inverno è molto freddo e la sensazione di freddo è incrementata dalla notevole umidità. Piove spesso e la neve non è rara. L'estate è calda, umida ed afosa e per di più non tira mai un filo d'aria. Primavera ed Autunno durano rispettivamente qualche giorno e più che altro sono percepite dall'osservazione dei colori della flora locale. Quest'anno, quando le temperature lo hanno permesso, sono quasi sempre uscito a correre. La corsa è una delle poche cose che mi consentono di rilassarmi e liberare totalmente la mente, oltre a dare quel tipo di stanchezza fisica che ti fa star meglio. Spesso, in mezzo a minuti privi di pensieri, nascono idee, progetti e soluzioni oppure riaffiorano ricordi, come le corsette, d'inverno ed in pantaloncini corti, a L'Aquila, sotto zero, quando il solito amico, puntuale e preciso, non come il treno sul quale sto viaggiando, ti citofona e dice di scendere. Poi via di corsa in Via XX Settembre, sino ad arrivare alla Basilica di Collemaggio, correndo in fila indiana perché il marciapiede è troppo stretto, qualche giro attorno al Parco del Sole e ritorno, che culminava col lancio della sfida e conseguente scatto per vedere chi arrivava prima. Comunque, quella di correre,  più che una volontà, col passare degli anni è diventata una necessità. L'ora è sempre la stessa, 19:30/20:00. Ultimamente, mentre faccio stretching o subito dopo aver iniziato a correre incrocio, lungo il bellissimo Viale alberato dove vivo, un Signore. Questo Signore, ogni sera, alla stessa ora, tutti i giorni... porta fuori suo figlio, paralizzato. Tutte le volte che lo incrocio, questo Signore mi saluta e mi sorride. Posso affermare con certezza di non essere in grado di definire e descrivere il tono della sua voce e la morfologia del suo sorriso. So solo che ogni volta, quando mi saluta e mi sorride, sospiro e mi sento meglio. Quel signore spegne tutti i miei pensieri, accelera il mio battito e mi fa sentire bene e sereno, e mi fa sperare di incontrarlo il giorno dopo, alla stessa ora, lungo lo stesso viale alberato.

sabato 13 luglio 2013

Occhi in alto, sempre.

Il cielo di oggi è diverso da quello di ieri e fortunatamente domani ce ne sarà uno nuovo. A questo punto la domanda sorge spontanea, dove vanno a finire i cieli vecchi?

Nelle fotografie.















giovedì 11 luglio 2013

Two minds without a single thought


L'altra sera cercavo di analizzare e catalogare tutte le Immagini salvate nel mio portatile e dopo aver dato un senseo a quei 76 GB di foto, mi sono imbattuto nella cartella "Varie". Questa raccoglie un pò tutto, locandine di film, celebri dipinti, atleti in azione, tramonti delle varie località del mondo, personaggi famosi.. insomma immagini scaricate di internet perchè per un qualche motivo, in un certo istante, mi hanno colpito.
Tra le tante ho trovato questa.


Mi sono fermato ad osservare questa foto ed in un lampo mi son balzati in mente un'infinità di ricordi legati alla visione delle esilaranti scenette recitate da questi due geni. Ora, io di questi due qui, ho visto, penso, quasi tutto quello che si poteva vedere ma non ricordo mai chi è Stanlio e chi è Ollio. Mi capita la stessa cosa per altri casi, come: Albume e tuorlo, chi è il bianco?; anione e catione, quale tra i due è quello positivo... Sono tutte cose che si sanno però lì per lì ti lasciano un pò perplesso. Dopo essere andato in salotto e aver sfogliato 3 dei 15 volumi della Grande Enciclopedia Italiana, sono riuscito a ricordare chi fosse Stanlio e chi Ollio. 
Questo, ossia che ho sfogliato l'enciclopedia,ecc.. , sarebbe stato quello che avrei detto ad una qualche persona per scherzare e fare un pò il simpatico. In realtà sono andato a controllare su Wikipedia. Non ho nemmeno un salotto. 
Leggendo mi son ricordato che avevo esplorato quella pagina almeno altre 3-4 volte in precedenza.
Tra le tante cose  si accenna al perchè della loro pronuncia storpiata e si spiega come si trattasse di una trovata casuale. Quando uscì il loro primo cortrometraggio il doppiaggio in lingue straniere non era ancora stato inventato. Si pensò allora, per non perdere il mercato estero, di far ripetere ogni scena cinque volte: inglese, francese, tedesco, spagnolo e italiano. Ad ogni sequenza gli attori secondari venivano sostituiti con altri di lingua diversa, mentre Stanlio & Ollio erano via via costretti a recitare nelle varie lingue (a loro sconosciute) leggendo le battute sul teleprompter posizionato dietro la macchina da presa. Questa si rivelò un'idea davvero geniale perchè ne venne fuori un effetto involontariamente comico. I due tendevano a storpiare le parole, invece di dire "stupido" dicevano "stupìdo", al posto di "automobile" dicevano "automobìle". Si decise in seguito, quando fu inventato il doppiaggio, di conservare questo loro modo di parlare poichè li rendeva unici per tutti gli spettatori non anglofoni.
Leggendo questo aneddoto mi sono tornate in mente le parole di un giovane Designer italiano, che qualche mese fa tenne una conferenza nella nostra Facoltà. Egli, Responsabile dello sviluppo dell'intera carrozzeria della F12 Berlinetta, parlando dei vari successi e fiaschi della storia dell'automobile, ci parlò dei primi modelli, quelli storici, di Fiat 500 e Mini Cooper. Ci raccontò come quei modelli, le loro carrozzerie, furono concepite in quel modo perchè i processi produttivi e tecnologici disponibili all'epoca imponevano quelle scelte al fine di avere un auto economica e quindi contenere i prezzi al pubblico. In poche parole, i fari rotondi della 500, il suo cofano avvolgente, le giunzioni in vista della Mini Cooper ed il suo tettuccio piatto, erano funzione della tecnologia disponibile di quei anni e non conseguenza di scelte dettate dal Design. Quelli che all'epoca erano dei limiti, negli anni sono diventati i veri e propri tratti caratteristici e distintivi di questi due modelli ed a questi le persone si sono affezionate. Anche se al giorno d'oggi la realizzazione di questi "tratti" non è pìù così economica, i nuovi modelli di 500 e Mini li riprendono e su questi basano la loro capacità di richiamare subito alla mente il modello storico.
Questi aneddoti, doppaggio Stanlio & Ollio, 500 e Mini, mi hanno dato un sensazione di Ottimismo. Le idee migliori nascono nei momenti di crisi, quando abbiamo vincoli e limiti da rispettare o quando le risorse sono poche,è in questi frangenti che ci sforziamo di più e la nostra inventiva e genialità vengono fuori al meglio.
Tornando alla foto.. Stanlio, nel motto dell'associazione "I figli del deserto", si riferiva a loro due affermando: "Due menti senza un singolo pensiero ".
La verità è che le commedie di Stanlio e Ollio vengono ritrasmesse dopo poco meno di un secolo dalla loro registrazione e la loro visione genera la stessa meraviglia della prima volta. Sono buffi, complici, simpatici, sbadati,  a volte complementari altre volte opposti. Sono Amici. Si cacciano nelle situazioni più improbabili e quando uno fa un danno,quasi sempre il solito, l'altro lo rimprovera, sempre nello stesso modo ("Stanlio, sei sempre il solito stupìdo" oppure "Ecco, mi hai cacciato in un altro bel guaio"), ma tanto il primo non capirà. Passeranno tutta la loro vita così.
Fanno ridere fino a far venire voglia di piangere, perchè sono Belli. E non chiedetemi di definire "Belli". Non vi capita mai, di fronte ad un bel dipinto, nella lettura di un passo di un libro, in una scena di un film, di fronte alla facciata di un monumento.. di voler esplodere in un pianto per quanta sia la bellezza e l'indescrivibilità di ciò che i nostri occhi guardano? "Belli" racchiude tutto, ed è indefinibile. Si dice "Belli" giusto per non restare in silezio, perchè solo il silenzio renderebbe l'idea dello spettacolo cui si sta assistendo. 
Aveva ragione Stanlio, erano due menti senza un singolo pensiero. Erano due uomini di cuore.


mercoledì 10 luglio 2013

La mia vita è uno zoo

Come annunciato qualche ora fa, sul blog ci sarà un appuntamento fisso (e ovviamente questa cosa è aperta anche agli altri autori) e sarà relativo al cinema. Questo appuntamento vorrà essere un po’ una recensione, un po’ un consiglio, come di quelli che si darebbero tra amici, un po’ uno spunto di riflessione per chi il film lo ha già visto e vuole condividere sfumature, piccoli significati e riflessioni che portano ad apprezzare molto di più il film in questione.
Ok, ho capito, ho già scritto un post poco tempo fa, però questo è diverso, quindi sorbitevi un po’ di questa pappardella, e poi magari vi viene in mente di vedere il film che vi consiglio, e vi invito a commentare questo post.
Il film di cui vi parlo oggi ha un titolo che tutto farebbe intuire, fuorché un film di un livello davvero molto alto: La mia vita è uno zoo (tratto da una storia vera).
Il titolo porterebbe a pensare che si tratti di uno di quei film un po’ stupidi, e invece no. È un film di una delicatezza fuori dal comune, un film che già a partire dalla fotografia, dai colori utilizzati ti porta nel caldo abbraccio di un gruppo-famiglia come quello protagonista del film.
Brevemente la trama (ancora grazie a wiki ;) )

Sconvolto dalla morte della moglie, Benjamin Mee decide di rivoluzionare la propria vita e quella dei figli, lasciando il (redditizio) lavoro di reporter e decidendo di cambiare casa. Ma c'è un problema: la casa "ideale" che lui sceglie si trova in un vecchio e decrepito zoo, completo di 200 animali esotici e "lontano 9 miglia dal negozio di alimentari più vicino". La casa, per contratto, può essere acquistata solo da un acquirente che prometta di mantenere attivo lo zoo. Nonostante i numerosi imprevisti (economico-finanziari, di gestione famigliare ed elaborazione del lutto), Ben e i due figli riusciranno con tenacia a rendere presentabile lo zoo, in quella che a tutti gli effetti si tramuta in una sfida che si carica di ben altri significati (il tutto con l'aiuto di una stravagante compagnia di inservienti, capeggiata dal personaggio di Scarlett Johansson).

Il film così relegato nelle poche righe di una trama scritta da qualcuno sembra essere davvero un film qualsiasi, ma fidatevi che non lo è. L’avventura che la famiglia affronta, e in particolare il capofamiglia (Matt Damon) è ricca di episodi che hanno significati nascosti rintracciabili confrontando ciò che succede al personaggio con ciò che avviene nel mondo animale che lo circonderà.
Un esempio su tutti, e non li dico tutti per non rovinarvi il film, è quello della vicenda della tigre Spar.
La tigre è malata e tutti consigliano a Ben di farla sopprimere perché non ce la fa più. Lui si ostina a curarla, cerca di starle vicino, di darle medicine, ma la tigre rinuncia ad essere aiutata, vuole apparire più forte ma non lo è. Ad un certo punto capisce che non può farcela più e decide che è pronta ad andare via, e anche Ben si accorge di questo, e la lascia andare. Ma dappertutto tiene vivo il suo ricordo utilizzando un disegno del figlio come nuovo logo dello zoo, un disegno che ritrae proprio quella tigre e che lui piazza ovunque, così come lui in giro per la città vedeva dappertutto la sua moglie ormai morta. Ecco, alla luce di quanto vi ho scritto ora, provate a guardare il film, a scorgere le vicende che superficialmente sembrano solo di contorno al film ma che in realtà sono colonne portanti dello stesso, perché accompagnano il protagonista lungo un viaggio che lo vedeva concentrato sugli esseri umani, che lo ha visto più concentrato sugli animali una volta che l’essere umano che più contava per lui lo ha abbandonato, ma che lo ha visto ritornare a vivere da umano alla chiusura del circolo delle vicende.
Chiaramente aspettatevi anche qualche lacrima, io perlomeno mi sono commosso tutto il film, ma sono abbastanza sensibile al bel cinema, e non me ne vergogno ;).
Insomma, questo è il film che vi consiglio questa settimana.

Sai, a volte tutto ciò di cui hai bisogno sono venti secondi di coraggio folle. Letteralmente, venti secondi di audacia imbarazzante. E ti assicuro che ne verrà fuori qualcosa di grande.




martedì 9 luglio 2013

I'm an alien, I'm a legal alien!

Telefono,casa.

Alzi la mano, anzi, alzi l'indice chi non conosce questa frase. No, non parliamo né di stupidissimi call center che vi offrono chiamate gratuite per il Botswana, né tanto meno di pinguini rapper che, con una operazione pubblicitaria da fare invidia al signorino “Buonasera”, instillano ritmi sincopati che manco la Hit Mania Dance di Mauro Miclini.
Sto ovviamente riferendomi a quel bell'esserino venuto da lontano: ET. L'extraterrestre per eccellenza, l'alieno stereotipato così lontano dai marziani di Mars Attack, dagli esseri di Independence Day o dai venusiani di Adamsky, un essere quasi rassicurante nella sua ingenuità.
Beh, in un giorno come questo non poteva mancare un post del genere, visto che anche mamma Google ha deliziato la nostra giornata con quel favoloso giochino su Roswell (ad oggi solo un pensiero mi frulla in testa, e ve lo dico in hashtag: #iovogliolavorarealladivisionedoodledigoogle), e qualcuno ha forse rischiato il licenziamento pur di ricomporre la navetta del grigio e farlo ripartire verso chissà quale Terra lontana.
La domanda che tutti, almeno una volta nella vita, ci siamo posti è: ma siamo davvero soli nell'universo????
Una domanda del genere trova tutti impreparati, e allo stesso tempo tutti capaci di una risposta, più o meno filosofica, più o meno scientifica, più o meno fantastico-cinematografica. Pensate che c'è chi ha risposto con una equazione, detta Equazione di Drake, alla possibilità che vi siano altre vite oltre la nostra, e altre case oltre la nostra, e magari altre IMU insieme alla nostra ;) ( e pensate che qualcuno ha applicato la stessa equazione per vedere quante sono le anime gemelle possibili nel proprio territorio!!!): potere e meraviglia della scienza e delle capacità umane di ridurre il mondo ad un libro fatto di quadrati, e forme e equazioni.
Ora da me che risposta volete, quella da ormai ex ufologo consumato o quella da persona “normale”? Beh io vi dico che secondo me tanto soli non possiamo essere, sapete che noia! Eppure dico, allo stesso tempo, che la possibilità, fosse anche remotissima, di essere in contatto con qualcun altro un po' mi spaventa, acido deossiribonucleico a parte...
Non è razzismo, lungi da me esserlo, ma è qualcosa di talmente strano da non essere pienamente spiegabile. Voi come vi comportereste con un alieno se, per caso, riuscisse a mettersi in contatto con voi? Scartiamo il comportamento dettato da film e altro, ossia rapimenti, ecc..., ma pensiamo solo ad un puro incontro ravvicinato del terzo tipo “amichevole”, uno di quelli della serie “conosciamoci meglio”, un blind date con i grigi dai begli occhioni.

Bene. Raccontami la tua vita.

Io sono umano, noi viviamo su questo pianeta che si chiama Terra. Io mi chiamo Angelo e nella vita faccio...sono ingegnere (meglio di sicuro che spiegargli il dottorato di ricerca, concetto alieno anche forse al MIUR).
Ho 25 anni, vivo con la famiglia, ossia tante persone che hanno in comune tante caratteristiche, si somigliano. Ho una fidanzata, una persona con tante cose in comune, che ti somiglia (ecco, adesso mi sento come Renato Pozzetto che descrive al cieco Ezio Greggio il Duomo di Milano e le case allo stesso modo)...

E tu, chi sei? Da dove vieni?

E lì giù di descrizione, di cosa vengono a fare, di perchè proprio me...

E perchè siete qui?

Il nostro pianeta sta morendo. Il nostro popolo lo sta distruggendo, guerre, il pianeta sta esaurendo le sue risorse...Dobbiamo cercare una via di fuga, vogliamo continuare a vivere...

Ma non avete tecnologie avanzate?

Sì le abbiamo, ma esseri senza scrupoli le usano male, o non le usano affatto, e stanno portando il nostro mondo alla rovina, abbiamo bisogno di un aiuto...Forse sì, forse è per questo che ci siamo incontrati... Dovete aiutarci o non ce la faremo...

Ed è a questo punto che l'umano si inginocchia.

Stay.




giovedì 4 luglio 2013

Prime banalità

Miao a tutti! Chi vi scrive stavolta è il terzo coautore del blog, quello che non scriveva perché fino a 2 minuti fa non aveva l’ispirazione e che spera di trovarla entro le prossime 3 o 4 righe prima di cancellare tutto.
Non aspettatevi capolavori, né formule da nerd, ma nemmeno boiate colossali. Aspettatevi piuttosto le nostre passioni buttate su post scritti nel tempo libero; aspettatevi la quotidianità, l’attualità, la tecnologia (vedi Angelo).Aspettatevi un punto di vista, una visuale su un mondo che cambia ad una velocità pazzesca e ci trascina come un fiume in piena verso l’ignoto. Insomma una fotografia, come dice Marian.
Tutti si aspettano che parlerò di musica. Ma anche no. La musica la si consiglia, la si suona, la si ascolta, la si vive. Parlarne è riduttivo, il mio entusiasmo per il blues non potrà mai eguagliare un “let ring” di Mark Knopfler, un assolo di Jimi Hendrix o un bending di Clapton. La musica non si impone e non è un caso che negli ultimi 60 anni è stata l’espressione della libertà d’arte per eccellenza.
Oggi è 4 luglio, festa dell’Indipendenza americana. Oggi ho scritto una frase su Facebook “L'indipendenza degli Stati Uniti è l'inizio della fine dell'indipendenza di molti altri Stati”. Avrei dovuto scriverla così : “L’indipendenza americana comincia lì dove finisce quella di molti altri Stati”. Questa frase voleva essere di  spunto per un dibattito che non è nato. Non so perché ma ho pensavo agli starnuti abortiti di Totò. Sapete che sono un grande utente di Facebook. Pubblico di tutto, scrivo cazzate, promuovo musica (quella buona la tengo per me). Ormai su Facebook preferisco evitare di scrivere cose “serie” perché -come sosteneva oggi Vittorio- è un posto dove vige “la dittatura della stupidità”. (In realtà si riferiva ad altro, ma mi piace come espressione). La realtà virtuale che prende il sopravvento su quella reale. Litigate in commenti, tentativi di rimorchio convertiti  in “Mi piace”, sentimenti tramutati in codice binario, scambi di opinioni che finiscono quasi sempre nell’incomprensione di chi vuol avere ragione.  Tutto è “spiaccicato” su uno schermo, tutto visibile dall’altroaparte del mondo, che sia un parente o uno sconosciuto. La domanda che mi pongo ogni giorno è “Cosa ci sto a fare?” A volte vorrei cancellarmi, ma poi rinuncio perché mi dispiace perdere diversi ponti di stima/ammirazione/dialogo/culturali che ho costruito col tempo con alcune persone che non potrei contattare diversamente (se non con altri social network). Così rimando ormai da tempo il cancellare i “contatti mai contattati” o me stesso.  L’unica cosa che mi impongo ogni volta che mi connetto su Facebook  (giovedì sera esclusi) è di non cadere nella banalità di ridurre ogni cosa, come si tende a fare sui social network, ad un “Mi piace/Non mi piace più”. Perché anche una foto in bianco e nero, se ci pensate bene, è una foto a colori: quelli essenziali. 


mercoledì 3 luglio 2013

Un semplicissimo lampione


Sfogliare un giornale partendo dall'ultima pagina e controllare i risultati della notte appena si aprono gli occhi al mattino. Queste sono un paio delle caratteristiche di un appassionato NBA, il Campionato professionistico Americano di Basket. Per quanto mi riguarda la passione è nata nel 2001 quando, tra compagni di squadra in spogliatoio, ci si passava le cassette delle partite registrate da D+. Le guardavamo fino a consumarle. Venivano a mancare pezzi di video e di audio. Non che fosse un problema, le immagini e le telecronache (del duo Federico Buffa e Flavio Tranquillo, vere e e proprie divinità per gli appassionati degli sport nordamericani) erano state memorizzate dopo millemila visualizzazioni. L'apice degli scambi e dell'euforia per avere l'ultimo VHS si raggiungeva con le registrazioni dell'All Star Game, la partita delle stelle, appuntamento annuale che si tiene nel mese di Febbraio in una delle città che ospitano una franchigia NBA. La partita vede contrapporsi East Vs West e si può affermare con quasi totale sicurezza che i giocatori selezionati siano i 24 migliori al mondo. Per essere sinceri l’apoteosi si raggiungeva con la visione della gara delle schiacciate (spettacolo in programma il giorno prima della partita delle stelle), dove i migliori atleti della lega danno libero sfogo alla loro fantasia ed al sovrumano atletismo schiacciando nei modi più assurdi. Poi uno pensava: “Vabbè, che sarà mai saltare un metro in altezza, mettere tutto il braccio nel canestro, saltare sopra un uomo alto 2,15 m, decollare dalla linea del tiro libero (ossia a 6 metri dal canestro).. che ci vuole, tanto ha gli stessi muscoli che ho anche io, è alto come me”. Poi puntualmente, durante gli allenamenti con la squadra, cercavamo di imitare quelle giocate, di provare a saltare almeno la metà della metà.. ma nulla. Del resto Newton ha enunciato la sua legge solo per noi, esseri comuni, bipedi normodotati, mica per alieni del calibro di Michael Jordan, Doctor J o Earl Manigault. L’amore è esploso definitivamente nel 2002, quando un giovane Kobe Bryant vinse il suo terzo titolo consecutivo assieme al Grande Aristotele, o il grande Cactus, o il Diesel.. insomma ci siamo capiti, Shaquille O'Neal. Mi innamorai di Kobe, del suo agonismo, della sua passione per il gioco, della sua sfrontatezza, del suo desiderio di diventare il più grande di tutti i tempi, di dominare, dei suoi occhi nei finali Playoffs, dei denti digrignati dalla rabbia... e mi innamorai del mondo NBA, l'unico palcoscenico al mondo dove puoi vedere "danzare" ballerini di due metri e 10 per 120 kg. Slogan famosi di pubblicità passate alla storia recitavano: "Poetry in motion" o "Where Amazing Happens", ed in effetti solo lì possono vedersi gesti tecnici e atletici fuori dal comune. In ogni partita NBA si può essere testimoni di giocate mai viste prima e che mai più verranno replicate su un campo da basket. Dico su un campo da Basket, perché potrebbero sempre essere replicate in un videogame. In un videogame!
Il campionato termina a Giugno ma l'abitudine di controllare il cellulare appena aperti gli occhi non mi abbandona mai. Così, qualche giorno fa, qualche secondo dopo aver aperto gli occhi (e aver abbassato la luminosità dello schermo che era al massimo e che mi aveva accecato), controllando le e-mail, leggo che un mio Amico, l'autore di questo blog, mi aveva invitato a diventare Coautore. L’idea mi ha subito allettato poiché ho sempre desiderato tenere un blog, ma ora per un motivo, ora per un altro, non l’ho mai iniziato. Non ho iniziato a dedicarmi subito al mio primo post perché impegnato nella preparazione di un esame, dopo il quale sono state necessarie almeno trentasei ore per riprendere a pensare in lingua italiana e non più in Decibel, scale logaritmiche, ampiezze e fasi. Perché poi, la cosa brutta di studiare Ingegneria è che, dopo qualche anno, inizia a diventare difficile parlare Italiano. Ecco, parlare, non parliamo dello scrivere. Si è sempre immersi in diagrammi, leggi, schemi,programmi, manuali, ecc.. che diventa davvero difficile formalizzare un periodo di senso compiuto corretto grammaticalmente.
Oltre al sottoscritto, l’Autore del Blog ha nominato un altro Coautore, Luigi. Ed ecco così che tre vecchi cari Amici, così diversi (ma con lo stesso cuore), con passioni tra le più svariate, si ritrovano a tenere un blog insieme. Tre punti di vista diversi sulle dinamiche economiche, ambientali, sociali, culturali,ecc.. Caratteri differenti che colgono e analizzano le questioni da punti di vista differenti. Per di più tre persone separate da centinaia di chilometri.
C’avete creduto? Scherzavo. La verità è che siamo tre fotografi accomunati dal desiderio di esplorare ed immortalare l’ambiente che ci circonda, di cogliere, riconoscere e forse prevedere un istante ed un ambiente unico, come un sorriso, una reazione, un abbraccio, un tramonto, un albero o anche un semplicissimo lampione. Ognuno si posizionerà nel punto che riterrà migliore per comporre la scena della propria fotografia, imposterà l’apertura del diaframma, il tempo di esposizione, la temperatura della luce, metterà a fuoco, tratterrà il respiro… e scatterà. E questo non sarà un nient’altro che un album di fotografie, non un blog. Alcune di queste saranno state scattate di getto, d’impulso, dettate da quell’istinto e quella voglia di esprimere un emozione o un pensiero fugace. Altre saranno frutto dello studio e dell’ analisi attenta, dell’attesa del momento migliore e della luce più adatta in cui scattare.


Ah! Per chiarire la questione… Si sfoglia il giornale a partire dalla fine perchè la Gazzetta dello Sport riporta le notizie relative alla NBA nelle ultime pagine, dopo averne dedicate ottanta al calcio italiano, tedesco, francese… fino ad arrivare alla quarta categoria dell’ultima Lega dell’Argentina, per poi dedicarsi agli altri Sport. Sport, non calcio.