mercoledì 13 novembre 2013

Pietre...

Vedete, se c'è una cosa che non ho mai amato è il latino. 
Io penso, e chi ha avuto l'onere di parlare con me già lo sa, che la definizione di "lingua morta" è quanto di più calzante ci sia per la lingua dei nostri trisavoli.
Eppure...
Eppure c'è un detto, un piccolo proverbio latino che ho sempre adorato, fatto mio in più di una occasione, che se non erro (e qui largo a voi latinisti, perché "se sbaglio mi corigerete") suona così:" gutta cavat lapidem".
Il senso di questo proverbio è presto chiarito, per chi non mastica l'eneica lingua: la goccia scava la pietra. Il significato più profondo è quindi legato al rapporto che c'è fra l'insistenza e l'ottenimento di un risultato; ma questa volta io, spiritualista a volte da far invidia a Hegel, voglio guardare il senso più materialista del proverbio, e leggere in esso il significato recondito del passare del tempo sulla nuda roccia.
Pensate, ad esempio, se la goccia fosse un po' come la mano dei fedeli sui piedi della statua di san Pietro in Vaticano, che carezza dopo carezza hanno consumato il povero arto del santo. Ecco, carezza dopo carezza, sfioramento dopo sfioramento, appoggio dopo appoggio...
L'ispirazione di quanto scrivo proviene proprio da una riflessione di questo tipo: avete mai pensato a quanta storia si nasconda dietro un semplice angolo smussato?